domenica 20 settembre 2009

Impressioni di Lola


Hanno un po’ tutti perso lo smalto, il guizzo, quella giovane spensierata luce che traspira dalla pelle. Sono un po’ tutti mezzi addormentati, e quelli più svegli sembrano appena usciti da qualche incantesimo sotto spirito; e portano addosso un colore ingiallito, alquanto innaturale. Lola ha scelto già. Non parla e mostra la sua idea del mondo, fatta di si e no, di bianco e nero divisi in modo netto. Dividere e decidere. Decidere e tentare. Tentare e sbagliare. Tentare e vivere. Andarsene per un “si”. Rimanere per un “no”. Sembra semplice. Intanto tutti gli altri hanno facce di cera e parlano male e a stento. Ma sono convinti di fare la cosa giusta e in modo giusto. Il maniaco sembra un uomo buono e in fondo lo è; è solo un uomo buono con le sue manie. Il maniaco non sa bene cos’è e non è libero, mai. I volti di cera parlano e pensano a rallentatore. Sono ronzanti come mosche di fine stagione, confuse e morenti. È una stupida lotta per la sopravvivenza e pare ci sia posto per tutti. Ma la sopravvivenza non basta e Lola sembra averlo capito. Sussurra piano qualcosa che la porti lontano dalla noia e borbotta distratta frasi incomprensibili.
Dividere e decidere. Decidere e tentare. Tentare e sbagliare. Tentare e vivere.
Un pensiero semplice, una decisione netta le risolve tutto. Questo è bello, sembra dire. Questo non mi piace. Questo è bianco, questo è nero. Niente sfumature. Prendere o lasciare.

lunedì 7 settembre 2009

Agnostic front


La Religione è l’ostacolo che s’interpone tra la Fede e Dio.

venerdì 4 settembre 2009

L’alchimista


Vivo in un’armonia di santi e demoni, di zingari fannulloni e mistici inconcludenti. Circondato da candele che si sciolgono su loro stesse, formando caverne ancestrali dove la luce è solo la parte superficiale di un buio abisso inesplorato. La ragione della luce non è molto più potente della ragione dell’oscuro. La magia è un suono inaspettato appena emerso dai rumori del quotidiano male di vivere. L’aria è consumata e il ribollio dei miei esperimenti è una sfida al coraggio e al cristallo. È sicuramente una missione la mia. Ciò che mi salverà sarà un soffio di vento e un silenzio libero. Arrabatto ancora tra i miei arnesi e divento scuro e paranoico. Non trovo pace. Non trovo quello che cerco. La mia pelle porta i segni della fusione e dello scontro con tutti gli elementi. Finalmente ritrovo il mio volto e il mio sguardo e non sembro capace di certe stranezze. Mi piace l’anonimato. Mentre qualcuno cerca di diventare nessuno, molti nessuno sono diventati qualcuno, rimanendo nella sostanza inutili. Forse un giorno abbandonerò tutto questo. Tutta questa cianfrusaglia. Stanco di trasformare il mio mercurio in oro e argento. Un giorno abbandonerò tutto, chissà…
Getterò nella fornace la mia spada con cui ho dipinto i muri di squarci rossi. Forse un giorno abbandonerò tutto e imparerò a nuotare. Diventerò un delfino e nuoterò nelle profondità dei mari e degli oceani, guidato solo dalle nostre onde elettromagnetiche. E il mio saluto sarà un sorriso, e lì, senza forma e senza luce, sorriderò ai miei simili.

mercoledì 2 settembre 2009

Mario Monicelli

lunedì 24 agosto 2009

Disarmonia


Per quanto mi riguarda, mio caro, preferirei che la mia lira fosse scordata, o stonato un coro da me allestito, e che una quantità di gente si dichiarasse in disaccordo con me, piuttosto che essere io, dentro di me, in disarmonia e contraddizione con me stesso.

Platone

sabato 15 agosto 2009

Walk on the wild side


Holly came from Miami F.L.A.
hitch-hiked her way across the U.S.A.
Plucked her eyebrows on the way
shaved her leg and then he was a she
She says, hey babe
take a walk on the wild side
said, hey honey
take a walk on the wild side

Candy came from out on the island
in the backroom she was everybody's darling
But she never lost her head
even when she was givin' head
She says, hey babe
take a walk on the wild side
said, hey babe
take a walk on the wild side
and the coloured girls go
Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo
doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo

Little Joe never once gave it away
everybody had to pay and pay
A hustle here and a hustle there
New York City is the place where they said
Hey babe, take a walk on the wild side
I said, hey Joe
take a walk on the wild side

Sugar Plum Fairy came and hit the streets
lookin' for soul food
and a place to eat
Went to the Apollo
you should have seen him go-go-go
They said, hey Sugar
take a walk on the wild side
I said, hey babe
take a walk on the wild side
all right, huh

Jackie is just speeding away
thought she was James Dean for a day
Then I guess she had to crash
valium would have helped that bash
She said, hey babe
take a walk on the wild side
I said, hey honey
take a walk on the wild side
and the coloured girls say
Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo

( Lou Reed / Transformer 1972 )

Attraversare i chilometri con battito lieve, la fronte fredda senza mostrare febbre al sole del tramonto. Respirare una calma scoppiata appena dopo la detonazione. Farfalle all’aria, luci e lucciole, pelle senza trucco e occhi spogliati di mascara. Siamo arrivati in alto. Sopravvissuti alla lotta del fondo. Niente eroi e niente eroine. Siamo arrivati in alto, ma questo è un posto senza importanza. Niente onori. Niente corone di alloro per gli angeli. È solo una spiaggia solitaria. Un baluardo. Una gabbia solitaria che ci regala l’unica cosa di cui abbiamo bisogno; l’ossigeno. Quel poco che ci serve per respirare.
Stella è appena tornata e ride, ride tanto, ride per nulla. Ma io sono contento del suo nulla. È quello che ci accomuna. Niente da spartire con il resto del mondo fuori dalla gabbia. Rido anch’io.
Qui non ci trovi nessuno. Qui non hai da cercare. O ci arrivi o rimani fuori. E se ci arrivi, ridi! Oppure stai zitto!
Dei vizi e del trucco neanche una parola. Vestiti a fiori per un giorno perfetto. Sigarette sul davanzale e nessuna valigia da fare o disfare. Puoi scegliere il silenzio o il sorriso. L’unico lavoro utile. Per cena frutta e dell’alcol chiaro. Questo calice è davvero grandissimo, ma riesco a tenerlo bene in mano. Mi sembra uno scettro vuoto e non posso fare altro che stare in silenzio e scegliere il sorriso. L’ammaestratore di uomini ha sciolto le fiere e non si da pace. Quattro zampe ubbidiscono meglio di due. Ha ancora molto lavoro da fare, ma ormai è quasi buio. Penserà domani.
Ci siamo fatti tutti un giro sul lato selvaggio. La legge matematica è dura. Poi abbiamo scelto il silenzio e il sorriso. Scelta discutibile come tutte le altre. Dora prende del dolce e si toglie le scarpe. Nel suo sogno di gambe nude non capisce le domande e non saluta. Guarda e sorride. Un altro giro sul lato selvaggio. Un altro giro.

giovedì 23 luglio 2009

Unfinished line

Come per caso ti accorgi che quello che si presenta non è vero. Che la realtà è libera di essere interpretata. Il metodo oggettivo è il meno giusto per guardare le cose. È solo un trucco che usano tutti per definire quello che si è, quello che si vuol far credere d’essere, quello per cui stanno spendendo la propria vita e il proprio tempo. Bianco o nero, senza vie di mezzo.
Come per caso ti ritrovi a guardare lo stesso volto e ti accorgi che non l’hai mai percepito bene. Non l’hai mai saputo guardare. Lo sbaglio che fanno tutti. Guardare le persone dal punto di vista più facile. Senza sforzarsi. Guardare le persone per come vogliono essere guardate. Guardare e giudicare. Come per caso guardare diventa sentire. Ma ti tieni il segreto e ti godi la vista. E quello che aveva una forma definita non lo ha più. Le linee si interrompono e ti è impossibile chiamare qualcosa con lo stesso nome. Con lo stesso nome di sempre. Ma devi mantenere il segreto. C’è chi si nasconde dietro sentimenti religiosi, chi sta attento alla forma e all’educazione, chi se ne frega sempre e comunque, chi sogna lo standard della stabilità, chi si limita a mangiare e dormire, chi s’addormenta sotto un’utopia, chi non ha schemi e vive di stupore. Io mi nutro dei difetti e perdo tempo. Perdo tempo ad osservare. Perdo tempo a raccontare e a farmi raccontare il mondo da cose mute.
Come per caso su e giù per montagne russe senza pagare il biglietto e prima o poi sei morto senza preavviso. Senza contare i giri e prima o poi sei vivo.
Le cose cambiano. Altre cose se le è prese il passato e diventano per sempre, anche se è facile dimenticare. Lo stesso volto non sa di essere lo stesso. Le rughe di un neonato assomigliano a quelle di un vecchio stravissuto. E un bambino resta se stesso per sempre.
Come per caso in tutto questo apparire viene dato l’armistizio e in un momento irrealizzabile sto bene nel mio grandangolo. Metto a fuoco e scatto fotografie che mi è difficile mostrare. Sempre più difficile. Sempre più coinvolto mi ritiro su un faro per amore dell’anonimato.
Come per caso succedono queste e altre cose. E i volti sono madidi di vita. E mio padre è un bambino coi calzoni corti cresciuto perché doveva diventare un uomo. Un uomo col fucile. Un uomo con un mestiere. Un uomo che è rimasto lo stesso bambino con i calzoni corti.
E mia madre ha partorito uno straniero, ma mi vuole bene. Anche se non parliamo la stessa lingua sa che non si può pretendere niente e che non c’è bisogno di una cura. Perché la febbre è sempre sopra i 40 per me. Dottore la medicina è scaduta e non sono più venuto a visita. Mi sono ammalato di altre cose, che ho trovato nelle fermate degli autobus, sotto nelle metropolitane, dietro i francobolli e negli orizzonti che non sono di nessuno. Come per caso.

sabato 18 luglio 2009

Charango


Ho messo addosso i primi colori che ho trovato. Senza fare differenze. Ho le nuvole in testa e in un occhio la luna, nell’altro il sole. Il mattino mi sorride e la vita quando te ne accorgi è solo un viaggio. Nient’altro. Charango posa sotto un albero e aspetta che il vento soffi nella sua pancia. Ha ancora le corde spettinate e non gli importa di niente. Jambo Bongo non si è più fermato dall’Africa in poi. Batte il suo ritmo con la mano mancina in tempi dispari. Stringe i denti bianchissimi sotto labbra scure e fa penzolare il suo lungo pizzetto di rame rosso tra ragazzini di stile yankee che recitano rosari con cadenze rap.
One two tree four!
One two tree go!
Ogni linea può essere importante. Ogni linea da se non sembra una grande cosa. L’intreccio è il disegno magnifico che ci dà la ricompensa, senza aver chiesto nulla. Il senso del viaggio. Non farsi mai manovrare. Viva le corde spettinate e i fili liberi. Che pena esser burattini obbedienti!
One two tree four!
One two tree go!
Kalimba si avvicina discreta e mentre la frenesia di quattro Jambè pestano allegramente la terra e ravvivano tutto ciò che trovano, si permette di sussurrare con voce tremante i toni psichedelici di questo mondo a tutte le creature. Malinconica cura per chi non ha bisogno di sciamani. Un tuffo dove la vita scorre più lenta e il fango è una pasta coloratissima.
Viva charango e la ribellione!
Viva le corde spettinate e i fili liberi!

domenica 5 luglio 2009

Spaccateste


È quasi sera. Dovrei tornare indietro. Se solo sapessi dove andare? Credo di essermi perso. Perso rispetto a qualche dovere. Ma nella vita è più una questione di volontà. Chiedo informazioni. Ormai è tardi. Il posto è alquanto tetro, ma più avanti sembra peggio. C’è un cancello verde scrostato di bianco e celeste pallido. Vegetazione senza controllo e rumori dal di dentro. Dei colpi. Colpi forti ma morbidi. Entro. Chiedo permesso.
Si può?
Nessuna risposta. Proseguo. Vedo un signore grosso, grasso, rosso, lentigginoso, una massa di carne e sudore. In una mano un machete, nell’altra sangue e schegge d’ossa. Davanti un albero tagliato all’altezza delle sue ginocchia. Un bell’albero, di quelli che se potessero parlare direbbero solo la verità, cronache secolari. Un racconto senza commenti. Senza nulla di superfluo.
Buona sera. Volevo un’informazione. Credo di essermi perso
Prima o poi finite tutti per perdervi. Prima o poi tutti si perdono. Qualcuno arriva qui. Qualcuno si smarrisce molto prima.
Già. Si, vede volevo sapere solo che strada fare.
È una bella domanda. È una grossa domanda. E tu la chiami informazione!? È qualcosa di più. Ragazzo! Potrebbe essere qualcosa di vitale.
Sei stanco?
Beh si…
Sai quando ti sei perso?
È difficile a dirsi.
E vorresti sapere qual è la strada! È proprio una grossa domanda! Ci vuole tempo. Ci vuole tempo per rispondere. Tu, dimmi…ce l’hai del tempo?
Credo di si…
Bene. Quanto?
Non saprei. Mi sono perso, e a questo punto il tempo non conta molto.
Già. Forse non ti sei perso del tutto. Loro si, invece.
Loro chi?
Quelli che arrivano qui. Quelli che arrivano qui non lo sanno di essersi persi. Non ci pensano. Non ci credono. Pensano al tempo.
Continuo a non capire. Il ceppo secolare ha un cuore putrido, vermiglio e maleodorante. Da una cesta il grosso tizio prende qualcosa. È una testa.
Vedi?
Si. Cos’è?
È una testa. Hai paura?
No. Non è la mia. E se così fosse, sarebbe troppo tardi per aver paura.
Giusto. È una testa. Una testa d’agnello. Condannato dalla sua natura. Troppo tenero per non essere mangiato. Troppo timido per non farsi mangiare. Troppo facile da uccidere. Troppo buono per resistere alla tentazione di un pranzo domenicale.
Se vuoi saperlo non so bene che sapore avesse. Non è stato il mio di pranzo. A me arrivano solo le teste. Vedi, se avesse la testa attaccata al corpo sarebbe ancora un animale con qualche speranza. Invece si è perso. E qui arrivano solo teste. Qui ci arriva solo chi si perde. Chi si perde del tutto. E chi arriva qui non ha bisogno di tornare. In verità non lo merita.
Perché?
Non c’è un perché. So solo che è così. In non giudico. Non sono un giudice. Non sono nemmeno un boia, se è questo che ti stai chiedendo nella tua testaccia ancora attaccata al collo. Quindi non compete a me sapere il perché.
Chi è lei?
Nessuno di preciso, oramai. Sono uno spaccateste. Mi si potrebbe chiamare così. Ma non è ne un lavoro ne un passatempo. Non so. Potresti chiamarlo senso del dovere. Più che altro non c’è un senso. Il mio mondo si divide così. Da un lato le teste, quelli che si perdono dico io. Perché da qui non ritornano più. Dall’altra parte ci sono io, che non giudico, non condanno e non assolvo. In mezzo il machete.
Che senso ha?
Dovresti chiederlo alle teste. È colpa loro se si perdono. Oppure è la vita che ha voluto così. Non c’è un senso. Non c’è un perché. Ognuno fa quello che deve fare. Io spacco le teste.
Tu?
Io cerco.
Bene. Questo vuol dire che non ti sei perso.
Poi estrae un’altra testa dalla cesta in vimini circondata da mosche ronzanti e fameliche.
Chi è?
Non so. Potrebbe essere un uomo cattivo. Forse un uomo buono ma stupido. Forse uno che si credeva furbo. Ma non lo era in fondo. Adesso sembra solo un disgraziato. Sotto la sua testa c’è una cravatta. Ma le cravatte non reggono il collo. Forse il suo errore è stato scegliere male la cravatta.
Imperdonabile baby!
Crac!
Un colpo deciso. Uno schizzo sul grembiule. La lama risuona intensa e morbida.
Vedi? Non c’è un senso. Soprattutto, perché la mia vita non la puoi spiegare alle teste. Loro non ti crederebbero mai. Troppo impegnate a perdersi. E continuerebbero per la loro strada.
Tu invece perché ti sei fermato?
Non lo so. Forse sono stato solo fortunato. Forse ho le visioni. Si. Credo di avere le visioni.
Credo sia un bene avere delle visioni. Anche se non si possono raccontare, servono a qualcosa in fondo. Credi. È un bene. Ed è bene che tu vada via.
Si. Penso sia giusto.
Ti basta solo seguire un’altra visione per tornare. Non chiedere nulla di più.
Addio.

mercoledì 1 luglio 2009

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