domenica 27 luglio 2008

High speed


















Can anybody fly this thing?
Before my head explodes,
Before my head starts to ring
We've been living life inside a bubble,
We've been living life inside a bubble

Confidence in you,
Is confidence in me,
Is confidence in high speed

Can anybody stop this thing?
Before my head explodes,
Before my head starts to ring
We've been living life inside a bubble,
We've been living life inside a bubble

Confidence in you,
Is confidence in me,
Is confidence in high speed
In high speed
In high speed, you want,
High speed, you want,
High speed, you want

( Coldplay / Parachutes 2000 )

Che malattia vedere la lancetta spingersi avanti sui numeri del tachimetro. Che tentazione il sorpasso. Sono ad alta velocità e l’asfalto sfuma come celluloide rovinata dal tempo e non mi fa capire che film è questo. E ogni sorpasso è un rischio. Sempre più veloce e intorno nell’aria una musica un po’ lenta, il sole sta per scendere e le mie braccia sudate riflettono oro vivido. Non si dice. Non si fa. Ma se riesco a controllare la curva so di poter respirare. Le mie ore sono piene di tipi folli. Folli d’appartamento. Paranoici della precisione, storti e piegati dagli eventi. Folli da strada, viandanti e gente che si perde continuamente. Folli da calcolatrice, perché tutto è un calcolo e le somme e le equazioni non sono mai giuste. Tiro un altro po’ e penso di uscire tardi quando la serata per molti sarà quasi al termine. Ma la notte, la strada, sono terra di nessuno ad una certa ora.
Sopravvivere ad un’altra curva e pensare che in fondo non è una pista. Non è nemmeno un gioco. Ma ho un lucido controllo e questo mi basta. Chissà perché i miei chilometri non sono come i tuoi, forse sono più lunghi. Chissà perché le mie ore non sono come le tue. Chissà perché non è una domanda, è solo un sovrappensiero. Riconosco molte persone ma non ne saluto nemmeno una. Nemmeno loro si sono accorti di me. Mi piace osservarli quando non si sentono osservati. E poi mi concentro sugli estranei. La rossa grassa col culo grosso saluta, la bionda triste sbotta e sputa, il vecchio con la macchina fresca di concessionaria non arriva a cambiare la marcia. Col suo motore nuovo nuovo che io me lo sogno, e lui non ce la fa proprio. I solitari aspettano le puttane, come i diamanti. E altrove qualcuno regala felicità, un aperitivo e qualche parola giusta. Giusta per l’occasione. Qualcuno non se lo aspettava. Qualcuno conta fino a 10, 100, 1000 prima di sclerare e poi perde il conto. Qualcuno si nasconde e aspetta un rituale senza strappi alle regole. Alta velocità e non credo ci sia un limite. Alta velocità e qualche testa scoppia. Alta velocità e non si torna indietro. Alta velocità e bassa qualità. Si. Ma quello che importa è spingersi anche se la visuale è limitata. Anche se si sacrifica la squadra. Alta velocità non pensare. Non pensare. Spingi! Alta velocità e bassa qualità.

sabato 26 luglio 2008

Mala natura



Questa è la canzone del diavolo che sconta le sue pene e la sua mala natura.
Che sprofonda nelle viscere della terra e non s’arrende, che urla e latra versi al cielo, perché guarda al cielo con occhi senza misericordia, cacciato per sempre e costretto alle fiamme.
Questa è la canzone di un povero demone che si lega alle caviglie di chi esorcizza il male e sogna il bene, che cammina in strada e non può volare perché possiede ali troppo piccole. Non c’è niente di male in queste percussioni. Non c’è niente di male sotto le gonne che volteggiano attorno un punto che non si sfiora e cercano l’altra anima dannata. Niente di meglio che schiacciare il diavolo sotto i piedi in una danza tarantolata. Questa è la canzone della follia che interpreta il divino amore in un bicchiere di vino con un bacio umido di vita. Questa è la canzone dei berretti rossi custodi delle idee. Questa è la canzone dei viandanti sotto la luna. Posso dire che il bene e il male si assomigliano nelle vesti e nei laccetti. Posso dire che il bene e il male non si attraggono e si respingono nel ritmo eterno e non si sfiorano mai attorno un punto o ad una figura umana.

domenica 20 luglio 2008

Interpretare Dio

Ci siamo inventati Dio e la sua discendenza.
Ci siamo inventati la casta, i nobili, i sovrani e i politici, reclame sempre uguali da millenni, trasfusioni di sangue blu, pallido nei volti e meno umano nelle intenzioni.
Ci siamo inventati la rivoluzione, guerre e maratone, passa il testimone ed ecco i nuovi figli del sole, sempre più pallidi. Ci siamo inventati i vampiri, i grandi condottieri liberatori delle masse, nuove leghe per il ferro e l’acciaio, nuove alleanze e nuovi territori da spartire.
Ci siamo inventati la democrazia dove tutti sono liberi e dove ognuno può lavorare per la libertà propria e altrui. Ma vuoi mettere sentirsi più agili del prossimo, più scaltri e ricercati?
Ci siamo inventati il mondo piatto, poi quello a sfera, poi la vita su altri mondi.
Ci siamo inventati le piramidi, dove un gioco archeologico di interpretazioni si perde per ogni nuovo scavo. Ci siamo inventati le roccaforti, i monasteri e i chiostri, dove alla pace del marmo che passa sotto ai piedi e riecheggia nei porticati si contrappone la voce arrogante di religiosi sboccati e miseri nella loro centralità.
Ci siamo inventati i bar dopo il lavoro, ci siamo inventati i bar prima del lavoro, ci siamo inventati i bar nell’attesa del lavoro. Ci siamo inventati gli alfabeti, lingue e scritture e poi, come animali che inseguono la bellezza e perdono un po’ di grazia, ci accontentiamo di confonderci e parlare con gli occhi, le mani e le pieghe del volto.
Ci siamo inventati la satira, le maschere e la censura. Ci siamo inventati la magia, l’alchimia, la chimica e i processi nucleari. Abbiamo catalogato tutto…un giorno qualcuno vedrà la nostra idiozia conservata in una scatola lanciata nello spazio.
Ci siamo allontanati all’inverosimile da noi stessi cercando altrove senza avere bene in mente le domande. Interpretare Dio e chi dice di conoscerlo. Interpretare questo vortice immenso che piano piano si consuma e si riprende. Interpretare oppure lasciarsi andare cercando di sciogliere le smorfie di dolore e piegare il volto in un sorriso, un sorriso accennato e disteso. Guardo il mondo e mi specchio ogni giorno di più.

sabato 5 luglio 2008

Un’altra addizione


Uno sguardo meno un sorriso fa uno straniero, anche in patria
Un sorriso più una frase astuta fa una fregatura
Una legge più una legge più una legge fa ingiustizia elevata alla burocrazia
Una rivoluzione diviso il numero delle vittime rende sempre un assurdo
Una casalinga più un disperato più un pensionato più un bambino più uno scomparto di pile lamette e preservativi fa una fila alla cassa del supermercato
Una birra più una birra più qualcos’altro fa un ricordo confuso virgola tempo d’ozio
Una parola detta male più qualche urla fa un silenzio atroce
Un sogno più un sogno non fanno quasi mai una vincita al banco lotto
Un viaggio più una bella fotografia fa un nuovo biglietto per partire
Questo tempo meno te fa male
Io più io fa siamo già in troppi ma manca sempre qualcosa

mercoledì 11 giugno 2008

Ho paura di me stesso


Perché ho bisogno di sensazioni forti.
Perché mi sento o troppo allegro o troppo triste. Perché voglio tutti i colori e poi, alla fine, scelgo sempre un bianco e nero che ha stile. Uno schizzo bizzarro. Qualcosa che squarcia il mondo senza dettami.
Geometricamente indipendente.
Perché sono esagerato a modo mio. Dall’altra parte cerco la semplicità, e nella semplicità il modo migliore per vivere e per contraddirmi. Perché mi ci vuole un parametro che possa amare e odiare allo stesso tempo. Ho bisogno di piccole rivoluzioni. Di sfidarmi senza mostrare agonismo. Di essere il primo e sentirmi come l’ultimo.
Devo cambiare sempre e ogni volta vacilla una paura che devo superare. Supererò anche questa prima della prossima rivoluzione. Posso spiegarti la mia vita, ma sarebbe inutile. Preferisco parlare di me come di qualcun altro. Preferirei non parlarne. Preferisco uno scontro romantico con la vita. Supererò pure questo prima della prossima rivoluzione. E questo taglio rosso e caldo implica solo un silenzio.

domenica 8 giugno 2008

Ho sempre me


Questi dadi
non segnano mai più di dieci
fanno così … per non compromettersi

La stanza in cui vivo è un dado,
ma non ho abbastanza mani
per tirarlo lontano

Distanze che non percorro mai
per una probabile carenza d'ossigeno,
devo ancora imparare a respirare
ma mi va bene così
e non ho tempo per cambiare … poi

Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me

I tuoi grandi sorrisi
accendono il buio
però menti se scrivi che
torni subito

O forse è meglio così
io non t'aspetto
potrei avere qualche problema se tu
tornassi davvero, ma …

Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me


Cristina Donà / Tregua 1997


Ho acceso tutti gli stereo, i lettori dei computer, le radio e gli amplificatori. Ho alzato moltissimo il volume e ho l’umore che rimbalza dal pavimento al soffitto. Ho chiuso bene la camera e ho spento le luci. Le spie e i led bucano il buio come lucciole. Ho acceso le candele e non trovo gli incensi. Li dovrò comprare…. Tarantolato, oramai non mi resta che ballare con gli spiriti immaginari e fare un viaggio nel tempo.
Suonano forte i tamburi, riecheggiano i pianoforti, svalvolano le chitarre. Ho in mente i libri non letti. Ho in mente le melodie che non riesco a suonare. Sono lontano dalle parole. Molto lontano. Sono contento pure di non cercarle. I volti si sciolgono con leggerezza. Per primo il mio. Ma è solido negli intenti.
Batti tamburo! Batti il muro! Batti!
Nessuna giustifica! Nessuna soluzione! Nessun esorcismo!Nessun invito! Nessuna sfida!
Adesso ho i pensieri tonici e un sorriso trasparente. Una nuvola nera sul capo che posa sopra il mio cappello a punta. Ho voglia di fare un giro. Di prendere un gelato. Di riempirmi di niente.

venerdì 6 giugno 2008

Succhia miele


Piccoli campanelli suonano nel vento e non sai mai se sono un po’ avanti a te o se li hai già lasciati dietro.
La eco di un vuoto a se ronza persistentemente, e non sai fare domande, tantomeno rispondere. Ce l’hai qualcosa da dire. Ce l’hai qualcosa da sentire. Ce l’hai un gioco nuovo appena inventato, che tieni stretto in un silenzio. Un giro di parole che non sono tue e un infantile diffidenza strappati assieme da un sorriso. Sono tutti li sul lato della strada i fiori di campo. I fiori pazzi. La grazia abbandonata e selvatica. Fermati pure. E succhia il miele di nascosto. È semplice.
È semplice. Si prende un fiore e lo si tira in bocca. Tira pure il fiato col naso. Tira forte e schiaccia un po’ la corolla. Appena sopra il calice con la punta della lingua trovi il dolce e un pizzico all’anima.
Ce l’hai qualcosa da dire. Ce l’hai qualcosa da sentire. Ma evita e goditi il momento. Due dita affondate tra le vertebre e una mano che abbraccia il collo dal basso verso l’alto. Torna a casa e aggiustati le labbra.

sabato 24 maggio 2008

Vs

Ah! Beh…si…
Mi piacerebbe proprio vedere che faccia farai adesso!
Mi piacerebbe proprio vedere che smorfia t’inventi, con quale mossa sorprenderai tutti, all’improvviso. Così…senza avere un motivo apparente, senza una logica, tranne la tua, che in fondo cerca di auto decifrarsi, e poi gioca a nascondersi.
Mi piacerebbe sapere che voce romperà il silenzio sul tuo palcoscenico, che maschera indosserai questa volta, quale ruolo hai scelto per il nuovo atto.
Eh si…vorrei precederti! Questo è il mio desiderio. Anticiparti. Batterti sul tempo, ma non ci riesco mai. Non sei poi così furbo o astuto. Ma anche l’errore che ti può condannare non ti sfianca come dovrebbe. Forse la tua è solo fortuna. Oppure le tue sfortune non sono così grandi come dici..
Eh si…vorrei precederti! Anticiparti!
Mi piacerebbe sapere che fine fai quando scompari, dove vai a nasconderti quando chiudi la bocca. O forse è lì che ti riveli, lasciando lo spazio agli altri…eh già! Chissà che trucchi t’inventi e quali poi non usi, perché questo ti fa sentire più buono.
Mi piacerebbe pure parlare un po’ con te, ma non ce lo possiamo permettere spesso, e a volte è un bene.
Eh si! È inutile che fai finta di niente. Parlo con te. Proprio con te che stai davanti al tuo fottutissimo schermo e non dici una parola una, nulla! Che leggi e rileggi ancora. Che indugi sulla tastiera e poi scarichi una raffica di lettere.
Bene. Ci sei. Adesso qualcuno ha pure l’impressione di ascoltarti, ma in realtà io non ti ho visto, e tu non hai mai parlato. La cosa finisce qui, con la fine della frase che non sa come chiudere un discorso che non si è mai fatto.

venerdì 23 maggio 2008

Georges Méliès