mercoledì 19 marzo 2008

L’uomo di latta

Sono sfinito, sono vuoto, torno qui perché devo tornare e ogni volta che torno la stanza rimbomba di bianco e di freddo, come un deserto di ghiaccio incapsulato in un moderno cemento asettico, appena sterilizzato dalla vita che si chiude con la porta. Qualcuno aspetta ma io non ce la faccio. Mi siedo accasciando il mio corpo stremato su un cubo che esce come un errore dal muro. Mi siedo perché mi devo sedere, e i miei occhi verde blu stemperati dall’angoscia, quasi vitrei, rimangono spalancati, immobili come in una fotografia, nell’ attimo prima dello sparo, nell’attimo stesso dello sparo, e guardano il nulla senza commentare…
Vedi? Vedi come si può diventare ? Cosa ti può fare la vita? Nemmeno l’orso parla più con me…si limita a guardarmi. Io invece non ho occhi nemmeno per lui. So dov’è e cosa fa. Lo sento. Sento l’aria che muove intorno, perché di me rimane solo una corazza. E nella mia corazza c’è solo aria, e trema al passaggio, trema con i movimenti e tremo anch’io, cigolante.
Sono sfinito, sono vuoto, rimango impassibile e calmo, e penso che ci sei tu dietro quella parete, e che fra poco dovrò venire da te. Intanto evito che tu possa aprire la porta, che la vita fuori ti può uccidere con un virus, e tu sei troppo candida e fragile per uscire. Ho provato a riempirmi di paglia, e in modo maldestro ne esce un po’ dal collo di metallo, come spine d’oro ossidato, come un vezzo, che mi fa sembrare ancora più buffo, perché fuori la tristezza fa tanto ridere, perché fuori i comici sono tristi e fanno battute tristi e cattive…
Sono stanco, sono vuoto, rimango impassibile e calmo, e adesso mi tocca di alzarmi. Mi alzo perché mi devo alzare, perché se mi alzo ha un senso. Ha un senso questa normalità, ha un senso venire da te, ha un senso muoversi e dietro di me viene anche l’orso, deciso come sempre. L’orso, a cui non ho mai chiesto la ragione della nostra convivenza. Forse si sente anche lui guardiano dell’unica cosa pura che esiste. L’unica cosa per cui vale la pena di tornare. E anche tu non sei nessuno. E non sei di nessuno. E forse è questo il segreto del tuo cosmo.

lunedì 10 marzo 2008

Muto come un orso


Torri di cd pendenti, sempre in bilico tra entrare nel lettore o cadere a terra. Babeli soniche senza ordine che non si sforzano di mostrare ricordi e storie, che stanno sempre lì e si alzano in alto fino all’ incomodo, fino a sfidare l’occhio ormai seccato di osservatori troppo attenti all’ordine. Indipendenti con vita propria si alzano, s’abbassano, si formano e scivolano su se stesse, mentre l’orso cammina su due gambe, grosso e silenzioso, con il corpo di pietra e la pelle amaranto, lucida e consistente.
Due occhi immobili e veloci nel pensiero. Un silenzio che non si rompe quasi mai dalla sua bocca mentre una musica riempie la stanza, la strada e pure le distanze.
Ne buono ne cattivo.
Ne buono ne cattivo all’apparenza.
Solo un orso dall’aspetto sicuro, talmente sicuro che si teme chiedergli il nome o il perché, che ti guarda e non ti fissa. Così grosso che ci si sente inquieti e sicuri allo stesso tempo.
Tutto al posto giusto mentre si disordina.
Tutto al posto giusto mentre si accumula.
Tutti in fila mentre si scopre che nessuno rispetta la fila.
Tutto ok finché arriva l’orso.
Tutto ok, è arrivato ed è tutto ok.
Tutto ok quando ti passa avanti.
Tutto ok quando si chiude da qualche parte e va in letargo.
Tutto ok, anche se hai l’amaro in bocca e vorresti capire di più.
Chiedere qualcosa.
La gente ha paura e l’orso lo sa.
La gente non chiede e l’orso non se ne cura.
La gente…
Ne buona ne cattiva.
Ne buona ne cattiva all’apparenza.
C’è sempre chi morde per fame e chi morde per paura.

venerdì 7 marzo 2008

Par Condicio