martedì 20 gennaio 2009

Cronache da 9€ e 60 centesimi.

È proprio venuto il momento di prendere aria, anche perché devo trovarmi un lavoro. Un buon lavoro. Ma nessun lavoro è buono, o per lo meno così la società ci costringe a pensare. D’altronde se avessi trovato un buon lavoro non starei a cercarne uno. Non si possono spendere 8ore della propria giornata, se non di più, per una cosa che serve a procurarti il denaro per pagare le tasse che mettono su ogni cosa e affrontare le tue piccole grandi spese quotidiane. Io cerco di investire il tempo cercando di fare quello in cui credo e che mi possa insegnare qualcosa. Che non mi riduca in una massa monotona timbra cartellino. Bisogna crederci. Il problema è che la fede conduce spesso a diventare martiri. Lo sappiamo, io e il gigante. Lui è un martire felice, uno che si rompe la schiena ma che non si fa bruciare il cervello. Siamo simili. Mi vuole bene anche per questo. Per il rispetto che abbiamo del nostro tempo. Lui è un buon martire che s’ammazza col sorriso in bocca. E a me piace la gente che sorride senza apparire stupida. Questa è fede! Altro che Vaticano tutto d’oro che predica umiltà e carità! Altro che estremisti bombaroli! Altro che il Governo, qualunque sia, che si sparte la colazione con gli industriali, che va a pranzo con i sindacati e cena con le puttane!
Devo prendere la macchina, sperando che parta; è un po’ che sta lì, parcheggiata, senza dire niente, a prendersi il tempo che fa. Credo, però, che abbia solo bisogno di riscaldarsi un po’. Come i buoni giocatori. La mia bagnola! 'Sto ferro vecchio, brutto, propenso alla ruggine, va ancora per fortuna. L’investimento a perdere come dice mio padre, ma per me è solo la mia bagnola. E cammina. Questo mi basta. Una buona macchina è comunque una buona macchina. Una buona macchina di solito costa. Una buona macchina non è uno status symbol. È solo un buono strumento, che tra l’altro inquina, ma ci possiamo fare poco per ora. La mia non è una buona macchina.
Arrivo in città. E che città! Peggiora di giorno in giorno, ma tanto non è mia, e forse è vero che sono apolide, nell’animo. Una volta mi hanno detto pure questo. Entro in un’eliografia per farmi stampare il C.V. che poi mi toccherà consegnare. Entro e aspetto. Il tipo è occupato al telefono. Aspetto i miei buoni 5 minuti, poi tra svariate parolacce senza cattiveria attacca il telefono. Mi chiede se ho chiesto e io gli chiedo quello che mi serviva. 4 copie in bianco e nero.
Totale 20 centesimi.
Ne vado a consegnare qualcuna in giro. Citofono e mi fanno entrare. Salgo le scale, sempre buie come al solito. Chissà perchè quando cerco lavoro mi ritrovo sempre in posti strani e bui. Sembrano tutti avvolti dal mistero. Cosa si farà mai in posto del genere? Così rischi sempre di inciampare o comunque di farti male. In questo caso riesco a sporcarmi le mani di grasso, non so come. Per fortuna che al primo piano si apre una porta e la luce anche se poca mi permette di avere un passo più sicuro. Arrivo al portone e una bionda occhialuta mi sta aspettando. Mi aspetta lei con la sua diffidenza. Forse è indifferenza. Le lascio il curriculum e con altrettanta indifferenza saluto e me ne vado certo di non avere speranza di essere richiamato.
Forse è vero, ci vuole indifferenza nella vita. L’indifferenza ti da un tono, ti fa apparire più sicuro, ti crea un muro di protezione attorno, e non ti mostra per quello che sei. L’indifferenza crea quelle distanze che dovrebbero far stare ognuno al proprio posto. Poi i vigliacchi si scatenano sulle chat o sui telefonini. Diventano tutti virtuali. Io pure, a volte. Credo. Ma sono abbastanza matto anche dal vivo. Ci vuole indifferenza, secondo loro. Per me, ci vuole un caffé. Vado al bar al corso, che è lì a due passi La cassiera è la figlia della titolare. Poveretta. Sta seduta tutto il turno a chiacchierare con una sua amica aspettando che venga la madre. Chiacchiera come la madre. Ha le arie come la madre. Ha le noie come la madre. Gli stessi ricci della madre. Lo stesso scialle, modello poncho un po’ accorciato, di finta lana cinese. Ordino un caffé tra un chiacchiera e uno sguardo irritato per l’interruzione.
Scusate se prendo un caffé da voi, ma siete il bar più vicino, verrebbe da dire.
Fanculizzatevi, verrebbe da dire.
Totale 80 centesimi.
Andiamo bene! È aumentato e non lo sapevo. Bevo il mio caffé al banco e saluto senza essere ricambiato. Il bar è un piccolo bar che non sa di nulla. Potrebbe essere un bar qualunque che puoi trovare in un piccolo paese un po’ sperduto e depresso, solo che lo trovi in città e al corso, e questo secondo loro dovrebbe giustificare un caffé mediocre, un locale anonimo, un servizio apatico e un prezzo troppo alto per un brodetto scuro in una tazzina davvero orrenda. Forse da questo puoi vedere la crisi. Un caffé così a quasi un euro può diventare un lusso in certi casi. La gente paga per delle cose scadenti. Paga molto e l’unica cosa da fare è una ricerca. Io so che per avere cose buone non sempre bisogna pagare molto. Ci sono cose che non devono andare oltre un certo prezzo. Automaticamente il rapporto con la qualità scade, e poi si da la colpa alla crisi. E poi si dice che per superare la crisi bisogna spendere. Trascurando il piccolo particolare che chi non c’ha soldi non può spendere. E mentre alle sfilate di alta moda si vestono gli uomini con ottimismo che sa di lusso un po’ dandy, un po’ non si sa bene cosa, un po’ ma chi mai metterebbe quelle scomode architetture di stoffa addosso, in fabbrica sfilano gli operai in cassa integrazione vestiti come al solito, ma un po’ più neri nell’animo. E già! Ci vuole indifferenza. Bisogna essere indifferenti per dire che la crisi si supera con il consumismo se poi non ti danno la possibilità di spendere. E intanto i politici si ammazzano per le idee che non hanno e per le mazzette che dicono di non avere. Se il Made in Italy non fosse solo un lusso e non fossimo costretti a essere consumatori per la stragrande maggioranza di cose fatte o assemblate in Cina e Paesi vicini, penso che le cose migliorerebbero. Ma ci vuole chi ci crede in questo...politici italiani che credono negli italiani. Ci vuole questa fede!
Mentre che sto per arrivare alla macchina passo davanti a un negozio di belle arti. Mi è sempre sembrato un po’ costoso, però entro lo stesso per la curiosità. Faccio la mia fila e chiedo un tubetto di colore ad olio, bianco. La signora dall’accento molto sudamericano mi chiede “zinco o titanio?”, io non so che dire. Allora mi spiega la differenza mostrando un camice bianco, sporcato ovviamente da un bel po' di colori, e lasciandomi col dubbio che sotto al camice appena aperto ci sia solo biancheria intima di colore nero. La spiegazione mi è piaciuta, così le chiedo altri consigli e alcuni prezzi. Lei è un po’ come il gigante in un certo senso. È una razza in via d’estinzione. Ama il suo lavoro, anche se è pur sempre un lavoro. Mi suggerisce di comprare un tale prodotto in ferramenta perché lei ha solo una confezione piccola e costosa. Non vuole vendermela. Io apprezzo, scelgo entrambi i tubetti di bianco, le chiedo il biglietto da visita, pago e ringrazio.
Totale 5€.
I prezzi sono buoni, pensavo male, ma sui colori ho i miei dubbi. Comunque è un buon negozio. Non c’è indifferenza. È un buon negozio anche per questo.
Non mi resta che andare in ferramenta. Tutto solo; io, la mia bagnola e la mia musica. È buio e forse faccio in tempo a trovare la ferramenta ancora aperta. Ascolto acid jazz. Credo si chiami così, ma non mi pare poi così acid e nemmeno tanto jazz. Acid jazz. Eppure è molto morbido. Forse non è acid jazz. La ferramenta è ancora aperta ma ci voglio un po’ per trovare un parcheggio decente. Chiedo un barattolo di cementite e anche qualche spiegazione, visto che devo fare dei lavori diciamo artistici, ma che in realtà mi servono per passare un po’ di tempo. Lui non sembra meravigliato. Stai a vedere che i colori lui li vede bene pure su una tela? E che dipinge? Questo pensiero mi sfiora un attimo e se ne va quando mi consegna un barattolo bianco, impolverato e tutto ammaccato. Mi spiega delle cose, pago, ringrazio e saluto.
Totale 3€ e 60 centesimi.
Mi sono sempre piaciuti i negozi di ferramenta. Quelli belli attrezzati. Dove ci trovi le viti che ti servono. L’arnese giusto. I materiali giusti. E mi sono sempre piaciuti i negozi di belle arti. Pieni di colori e attrezzature. L’odore delle tele. Far scorrere sotto le dita la setola dei pennelli ancora nuovi.
Mi sono sempre piaciuti i posti piccoli che hanno un’anima. Che puoi sentire in un certo qual modo tuoi. Anche se restano dei luoghi dove c’è chi lavora e chi spende.
Nella vita bisogna sempre cercare. Fare delle ricerche per essere liberi di scegliere. C’è chi vuole il branco solo perché si è in molti. E se i molti fanno la maggioranza sembra di essere al sicuro. Al sicuro dal dover scegliere. Oppure al sicuro dal rischio di sbagliare una scelta da soli. Un errore di tutti pesa di meno. Tutti poi si leccherebbero le ferite a vicenda, o per lo meno si scambierebbero un po’ di indifferenza. Da solo la cosa diventa difficile. Soli davanti a una scelta. Soli, persi nella propria ricerca personale. Ma chi cerca trova e chi non cerca viene trovato. Se cerchi puoi trovare davvero quello che ti appaga, o per lo meno hai uno stimolo. Se non cerchi rischi di essere trovato e non sai da chi o da cosa. Potresti essere trovato impreparato. Peggio ancora ti potrebbero trovare lì tranquillo che te ne stai al tuo posto, come vittima però. Allora a quel punto non hai scelta. Non ce l’hai più.

venerdì 16 gennaio 2009

Con il mare sotto casa a più di 40km dalla costa

Sono giorni che sono lontano. Lontano dalle persone, dalle cose pubbliche, dal traffico. Lontano. Lontano da me direi, visto che mi parlo poco e non spiccio molte parole nemmeno con gli altri. Non è introversione. Ma nemmeno si può spiegare bene cosa sia. Si potrebbe usare il termine relax, oppure è solo tempo di ricaricarsi. Leggo. Bevo. Fumo. Mangio. Dormo. Penso poco. Esco ancora di meno. Sono lontano da un sacco di cose e non faccio nulla per avvicinarmi. Non faccio nulla, ecco tutto. Si potrebbe andare in paranoia, ma io no; non divento paranoico. Strano ma è così. Basta poco, pochissimo per accontentarmi. Non si tratta di grosse sensazioni. Si tratta di accontentarsi. Non si tratta dell’equilibrio, non si tratta della tanto chiacchierata e desiderata felicità, forse è per via del moto che noi abbiamo verso l’equilibrio, si. Forse è quello. Ma non è equilibrio. D’altra parte...non vado in paranoia. Penso che sia per via del fatto che un po’ ci riempiamo e poi un po’ abbiamo bisogno di svuotarci, tutto qua. Penso pure che sia stata questa una riflessione molto più grossa di tutte quelle fatte da un mese a questa parte messe insieme. Non vorrei sforzarmi…meglio non pensare. Dicevo, appunto, che basta poco, pochissimo per accontentarmi. Un biscotto, un buon caffé caldo, il mio tabacco arrotolato, il rumore della pioggia incessante che da una dimensione alle lamiere, alla veranda, all’asfalto, agli animali che si danno al rifugio, perfino al caos. E il caos lo fa chi lo vuole. Può servire, si; ma può anche solo dar noie o provocare un mal di testa. E gli animali ce l’hanno il mal di testa? Il mio gatto no! Sta tutto il giorno vicino al camino. Dorme. Poi si sveglia, miagola, fa moine, si incazza un po’ e spalanca la bocca che gli allarga il viso. Poi fa un’onda con la spina dorsale e rimane un po’ sospeso come a puntare qualcosa. Ha fame. Sta puntando il frigo perché sa che da li escono cose da mangiare. Io guardo il gatto e mi sento meno in colpa di quello che in fondo forse forse dovrei sentirmi. Ma neanche. In colpa di che? Comunque lui, anzi lei, fa la bella vita. L’unica differenza tra un essere umano in relax e un gatto in relax è che l’essere umano è capace di pensare. Ma non è mai stata accertata sta cosa…
A pensarci bene i gatti sono due, ma l’altro, di cui non conosco il sesso, non entra quasi mai in casa. È più piccolo e malandato. Anzi, a momenti sembra un moribondo. Ma lo so che poi si riprende. Anche se ha quest’aria molto depressa, è schivo, e ti guarda con un occhio quasi buono e l’altro quasi guercio. Il problema è che appena ti avvicini lui ha paura e buonanotte al secchio, scappa via. Stai a vedere che sono ridotto peggio? Nemmeno questo è mai stato accertato.
Mi consolo rollandomi del tabacco e bevendo del caffé tiepido. Poi salgo in camera e mi sporgo sul mare. A dire il vero siamo un po’ lontani dalla costa, almeno 40 km credo. Ma io il mare non lo vedo, lo sento. Lo percepisco. Però c’è. C’è sempre stato. È una cosa un po’ inutile da spiegare, e dire che è un peccato non poterlo comunicare. Tiro bene la mia nuvoletta grigia dentro i polmoni, e poi butto tutto fuori. Lentamente. Passa una nave. I gabbiani starnazzano e s’azzuffano in cielo come sempre. Tiro ancora e assaporo una cosa che non dovrebbe avere tutto questo sapore. Lo svantaggio dell’essere umano in relax rispetto a un gabbiano che si azzuffa in volo è che l’essere umano pensa mentre il gabbiano cerca solo di non cadere in acqua. Gli ultimi tiri e poi si va in coperta. Come si fa a spiegare sta cosa? Lo svantaggio dell’essere umano rispetto qualsiasi altra forma di essere vivente visibile e invisibile sulla faccia del mondo conosciuto è che deve per forza di cose cercare di spiegarsi. Mentre, tutto il resto, è spinto da un moto verso l’equilibrio che si ottiene formando un grosso caos enorme stratosferico infinito.
Splash!!!

giovedì 15 gennaio 2009

Nel tremendo meraviglioso gioco delle differenze

È normale che nessuno sia normale.

mercoledì 14 gennaio 2009

The garden



And he was walking in the garden
And he was walking in the night
And he was singing a sad love song
And he was praying for his life

And the stars came out around him
He was thinking of his sins
And he's looking at his song-bird
And he's looking at his wings

There, inside the garden
Came another with his lips
Said "won't you come and be my lover ?"
"Let me give you a little kiss"

And he came knelt down before him
And fell upon his knees
"I will give you gold and mountains
If you stay a while with me"

And there was trouble
Taking place
Trouble
Taking place

There, inside the garden
They kissed and the sun rose
And he walked a little further
And he found he was alone

And the wind it gathered round him
He was thinking of his sins
And he's looking for his song-bird
He was looking for his wings

And there was trouble
Taking place
Trouble
Taking place

There was trouble
Taking place
Trouble
Taking place

( PJ Harvey / Is this desire? 1998 )

L’aria si fa scura e i tempi portano crisi e opportunità, scandali e vite ribaltate per pochi attimi sbagliati. Non rimane che farsi picchiare dalla pioggia e stordirsi nella nebbia. E c’è pure chi fa finta di niente, forse perché la nebbia la respira da un po’. Sorridere fa bene sempre, a meno che tu non sia uno stolto e allora quello si chiama indifferenza oppure insensibilità o peggio ancora resa. Qui la nebbia non aiuta, non aiuta a sognare, non aiuta a vedere oltre e la pioggia picchia forte ma lei se ne va senza colpe. Non è imputabile di nessun reato. Cadi all’indietro e sembra non si tocchi mai il fondo, non si avverte l’esito della caduta e questo fa più male. La nebbia non aiuta, non aiuta se cerchi qualcuno a cui dire qualcosa, che forse pure c’è ma non si vede bene in questo cielo umido. Rimangono i giardini per cui qualcuno ha speso una vita per farli a immagine e somiglianza della felicità. Giardini da curare fino a che qualcuno non ti seppellisce in un giardino lontano dal tuo, putrido e malconcio, che sa di acqua affogafiori e di cera che fa mancare l’ossigeno. E il tuo giardino muore piano senza nessuno che abbia voglia di curarlo. Era meglio spendere il tempo a curare la propria vita, o anche l’anima se vuoi. Noi ce l’avevamo un giardino. Era stupendo perché noi lo abitavamo. Perché assomigliava alla libertà. Noi ce l’avevamo un giardino e non era fatto per farlo vedere al vicinato. Non era fatto per farsi mostra di se. Non era chiuso, ma di certo non tutti potevano avere l’accesso. Questo dipendeva dai visitatori. Noi ce l’avevamo un giardino con alberi di bosco e fiori selvatici. Ma poi ci siamo scordati di avercelo. Oppure lentamente qualcuno ci ha strappato via le radici e adesso ci chiedono chi siamo e da dove veniamo. Noi vorremo sapere semplicemente dove andare ma non abbiamo nessuno a cui chiederlo tranne che a noi stessi. Forse non è il momento per chiederselo. Forse non è il momento di ripensare al nostro giardino, che scendeva giù per la valle seguendo quello che per noi doveva essere un fiume e poi risaliva sopra. Il nostro labirinto. Ma non abbiamo mai avuto il coraggio di vedere dove andasse a finire. Ora non sappiamo più dove comincia e non sappiamo indicarlo, ci siamo persi da un po’ in questa nebbia, e ci ritroviamo con troppi stranieri con cui convivere. Gente senza giardino. E vaghiamo soli in un labirinto invisibile in mezzo ai nuovi palazzi, a tonnellate di cemento che s’alzano al cielo, passando per i vostri uffici nuovi nuovi e i vizi vecchi vecchi di chi è rimasto lo stolto di sempre. Dovremo chiederci dove andare ma il labirinto è magnetico. Non ci lascia uscire. O forse ci porta dove ci hanno strappato. Il labirinto è magnetico. Il labirinto sa. Il labirinto conosce la strada. Il labirinto è la strada. E non resta che seguirlo…

giovedì 8 gennaio 2009

Il gesto del pensiero

Creare non risolve nulla!
Non ti risolve la vita! Non sempre. Quasi mai.
Creare però ti aiuta a vivere.

mercoledì 7 gennaio 2009

Momentaneamente assente

Ogni momento sembra quello sbagliato, ogni passo un azzardo, ogni acquisto affrettato, ogni scelta la meno intelligente. Il giorno scivola senza clamori. Qualcuno potrebbe cercarmi, ma non sarei di aiuto. Non posso esserlo se non so nemmeno io dove mi trovo adesso. Qualcuno se la prende con me e forse ha ragione. Qualcuno rincara la dose nel colpirmi e forse ha intenzione di risolvere un problema personale cercando in me il colpevole. A questo punto non so cosa dire. Non so che fare. Quindi non faccio proprio nulla. Potrei arrabbiarmi. Potrei risolvere la questione con filosofia. Potrei attaccare o almeno difendermi. Forse sto aspettando, ma nemmeno. Faccio tardi sul mio divano e non mi curo di nulla. Doveva essere un inizio oppure la fine di qualcosa, ma non si direbbe ne l’uno ne l’altra. Dovrei pensare come un protagonista, o forse dovrei semplicemente pensare a qualcosa. Avrei da fare, ma non mi viene in mente proprio un granché. Non avere uno stato d’animo è sempre orrendo, soprattutto quando sai di non averlo e non ti importa comunque. Non sono presentabile. Non sono giustificabile. L’equilibrio è una ragnatela che sfida il vento, le intemperie, gli accidenti e si appoggia sulle opportunità. L’equilibrio è una ragnatela di seta finissima, su cui a volte sei carnefice altre vittima. E la seta è sempre molto dolce e morbida, anche se ti avvolge in un sonno senza risveglio.

lunedì 5 gennaio 2009

Fabrizio De Andrè