martedì 30 dicembre 2008

lunedì 29 dicembre 2008

Oi oi oi dialogoi

#1.Ciao!

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Ciao…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Come stai?

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Bene…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Ho avuto un’idea, sai?

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Io avrei voluto avere un’opinione…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Pensavo fosse importante, ma forse non lo è!

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Stavo ascoltando ma poi non mi è sembrato fosse la cosa migliore da fare…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Posso dire che mi fa piacere rivederti

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Già! Che vuoi farci…è la vita.

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Che ne pensi?

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Il silenzio a volte aiuta…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Ho trovato qualcosa di davvero interessante!

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Si, è interessante…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Penso sia stupido non dirlo, ma lo è altrettanto dirlo!

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Non c’è partecipazione, ecco il punto. Vedi perché avrei voluto avere un’opinione?

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Avevi ragione, il silenzio a volte aiuta…

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Allora ciao!

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#1.Si, ciao.

Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose. Diciamo sempre le stesse cose.

#2.Posso dire che è stato un piacere rivederti…

venerdì 26 dicembre 2008

Souvenir

Te l’ho detto oltre queste tartarughe costrette in una vasca troppo piccola. Te l’ho detto oltre questo tavolo vuoto, oltre questa macchia d’argento sotto la pioggia, oltre il continuo sbiadire dei tuoi pensieri. Te l’ho detto oltre i tuoi momenti di gioia avvolti in uno scialle nero. Te l’ho detto e non è niente di personale questo vivere sentire morire ogni volta che non riesco.
Ed è tardi,troppo tardi, ma si può sempre ricominciare da zero. Eppure mi vogliono vendere una ragione, un principio in base ad un interesse e quello è l’unica cosa vera, l’unico punto fermo, la realtà che ci deve convincere. Te l’ho detto oltre questo avvinghiarsi in uno stringersi lievemente e con forza, con delicata fermezza, con un senso di appartenenza a noi stessi, chi può dirci di no?
Basta un ricordo. Un souvenir. Siamo noi oltre il tempo che passa e ci riconosciamo. Giochiamo da sempre e non ci basta mai. Appena diciamo la verità si svela il trucco e tutto diventa infame. Lascia stare. Non dire nulla. Possiamo chiedere di più.
Possiamo chiedere di più? Non lo so, ma forse bisogna dare uno strappo a questo tempo, per un luogo monotono, per questo via vai senza senso, per questa gente che ha ereditato un secolo di niente, perché niente è cambiato, e il progresso è un lusso comprato con i soldi regalati e non sudati.
Te l’ho detto e non mi sento ascoltato. L’ho detto male ma chi voleva poteva capire. A parte l’interesse. Te l’ho detto e non ho detto nulla, ma va bene così, l’ho detto al vento, l’ho detto a me, a chi voleva ascoltare, ma tutti sono pieni di se, e io devo andare.
Cerco una strada per svuotarmi. Cerco questo strazio difficile. Cerco con la volontà di trovare. Non so cosa. Non so dove. Non so come. Non so bene…ma cerco…

giovedì 25 dicembre 2008

Questione di coraggio



« Dovremmo avere il coraggio di dire
che le tasse sono una cosa bellissima
e civilissima, un modo di contribuire
tutti insieme a beni indispensabili
come la salute, la sicurezza,
l'istruzione e l'ambiente »
(Tommaso Padoa Schioppa)

mercoledì 24 dicembre 2008

Quand’è sera ( all’IKEA )















Il mondo si divede sempre di più in un dentro e fuori, tra chi addobba una vetrina e gli fa male la schiena e forse avverte un senso di vomito tra decorazioni luccicanti e festoso parlottio da shopping e chi invece guarda le vetrine dal di fuori e giudica la merce e compara i prezzi alle proprie aspettative e al proprio portafoglio. Dentro e fuori, tra gente che entra e gente che esce, tra il vigile col dente avvelenato che è costretto a dirigere mandrie di vacche al volante, pecorelle a spasso con lo stivale sexy, cagnetti impomatati col collare di brillanti e il mendicante fuori la porta dei negozi che aspetta puntuale il natale per mettere in mostra le proprie miserie e guadagnarsi la carità.
IN & OUT
Dentro e fuori i viali illuminati, pieni di folla pronta a spendere, costretta per una strana morale o anche solo per combattere lo stress di un anno a colpi di carta di credito, che quando passa nella macchina alla cassa è come una lama affilatissima, uno striscio e ti passa la paura e ci si sente felici non tanto per l’acquisto ma per aver acquistato. Dentro e fuori i viali con i ragazzi impegnati nel sociale che ti costringono per una spilla a fare qualcosa per i bambini ammalati, e ti fanno vedere come garanzia una cartelletta con il certificato di un’associazione sconosciuta. Fai un’offerta egoista schifoso, dammi questi soldi, ma ce l’hai un cuore lurido verme!?
IN & OUT
Dentro e fuori le chiese, col prete che non dichiara le offerte al fisco e non rilascia mai la fattura per un litania di parole che servono a consacrare le vostre misere vite bigotte. Ricordati di santificare le feste, di pagare il curato e di annoiarti tra i banchi e le navate per una predica inutile, una lezione di vita bla bla bla e così sia! Dentro e fuori ai santuari con gli zingari sui gradoni pronti anche loro a santificare le feste vendendo benedizioni e masticando anatemi se non gli dai qualche spicciolo. Bastardo che non sei altro, cosa ti costa farsi prendere da un senso di colpa!?
IN & OUT
Dentro e fuori i centri commerciali, sempre più affollati nonostante la crisi, sempre più illuminati e decorati, sempre più pieni di idee regalo, dove puoi trovare di tutto e di più, dove un libero mercato non ha abbastanza controllo di se ed è come un lento suicidio tra confezioni che si assomigliano e marchi con i nomi improbabili a riempire gli scaffali. Dentro e fuori i reparti, con le denominazione di origine, produzione e chi più ne ha più ne metta, tutto a norme CEE e non C’EE, 100% cotone, 100% pelle, 100% quello che vuoi che sia.
Il tempo stringe e il natale è alle porte, Santa Claus superstar batte tutti, record nelle pubblicità, record in TV, record nelle strade ( basta un cappuccio rosso e se ci tieni una finta barba bianca e sei il protagonista ). Batte pure Gesù Bambino che nessuno aspetta più di mettere nei presepi per cui nessuno va a raccogliere il muschio, per cui nessuno sceglie i pastori, o le cortecce per la grotta, ma si fa prima a fare l’ultimo assalto all’IKEA, dove tutto si monta e si smonta, basta seguire le indicazioni. Dove gli scaffali sono alti come un palazzo di tre piani, dove tutto diventa standard, dove puoi scegliere di arredare la tua casa mostrando una vita già vissuta ma non tua, con l’etnico che non capirai mai, il design moderno di architetti salva spazio, il genio nordico europeo con manodopera esclusivamente cinese a prezzi non sempre modici, dove anche tu diventi un pezzo, un tassello di una struttura impersonale e asettica. Il mondo si divide sempre più in un dentro e fuori, tra la full immersion delle compere e chi vaga per il parcheggio incustodito. E mentre dentro passano le solite canzoni natalizie re-impastate in arrangiamenti contemporanei, sempre più melense e cariche di buonismo, fuori si consuma una vecchia canzone degli anni 20, che gratta su un vinile pieno di nostalgia, che diventa come la strada ma sempre vero e onesto nei sui difetti. E la strada è un giradischi per chi vuole ballare, e la voce di quella cantante dimenticata stride un sentimento andato mentre cala il buio sulle nostre figure scure e decadenti, e ognuno se ne sta nel parcheggio come al centro del mondo trafitto al cuore da un tiro di sigaretta accesa per un caffé al distributore.

domenica 21 dicembre 2008

Fuck simile ( così fan tutti )


White Winter Hymnal


















I was following the pack
all swallowed in their coats
with scarves of red tied ’round their throats
to keep their little heads
from fallin’ in the snow
And I turned ’round and there you go
And, Michael, you would fall
and turn the white snow red as strawberries
in the summertime..

( Fleet Foxes / Fleet Foxes 2008 )


Correre a perdifiato e ridere solo perché puoi correre
Cadere e sentire gli angeli ridere
Rialzarsi e sentire gli angeli cantare
Cosa c’è di buono oggi?
Prendiamo qualcosa e poi via
Pantaloni stracciati e capelli senza stile al vento
Correre e sorridere
Correre e cadere nella selva
Sbucciarsi le ginocchia e inventarsi storie di orchi, gnomi e fate
Andare a dormire e sperare che domani al risveglio ci sia tanta neve
Talmente tanta che ci possa bastare per giorni
Così bianca che il mondo dovrà sembrare nuovo e immacolato, mentre i vecchi sbucciano trottole con i loro coltelli a serramanico e si guardano i palmi ancora morbidi. Palmi rosa e dita mature piene di rughe e pelle dura capaci di accarezzare le nostre teste con sicura dolcezza.
Cosa c’è di buono oggi?
Possiamo salire sulle spalle dei grandi per raccogliere ghiaccioli e aspettare che la neve crolli dai rami. Che ne dici di un vecchio copertone per scivolare sulla strada? Che ne dici di una battaglia con i bastoni? Che ne dici di non cambiare mai i nostri occhi? Che ne dici di ritrovarci qui, in nessun posto, fra 10, 20, 100anni?

Adesso non ho molto fiato, la neve mi da fastidio, e gli angeli corrono e io non tengo il passo…
Cadere e sentire gli angeli ridere
Cosa posso fare di buono oggi?
Rialzarmi e sentire gli angeli cantare

lunedì 8 dicembre 2008

Matriosca



Mi sveglio e mi accorgo di vivere in un guscio, un guscio pesante che non so bene se sia una protezione o un confine tra me e il resto delle cose. Mi specchio e il guscio mi nasconde e ride del suo essere goffo. Grottesco, quello che si può vedere. Sotto il guscio sento un altro strato di me che vive e non si fa vedere ne sentire. Passare per un idiota è sempre facile. Passare inosservati è una pratica quasi masochista. Mi sveglio. Non passo nemmeno davanti allo specchio. Mi sento un peso addosso e non sono i miei chili. Decido di spogliarmi, e non penso certo ai vestiti. A ogni capogiro tolgo una maschera. Ad ogni capogiro mi sento più leggero e più fragile. Rischio moltissimo. Rischio talmente che posso morire senza poter essere salvato dal giudizio terreno. Rischio talmente da presentarmi con la mente nuda che potrete mangiare con un cucchiaio. La mia mente nuda attende gli avvenimenti e vive senza memoria.
Un altro capogiro e divento sempre più incomprensibile.
Un altro capogiro e divento sempre più piccolo.
Un altro capogiro e non mi rimane che il silenzio.
Panico!
Non posso usare il mio pc…
Panico!
Non posso leggere i salmi di Dio Internet…
Panico!
Tutte le stazioni radio passano il medesimo pezzo…
Panico!
La TV trasmette una realtà scritta a tavolino…
Panico!
La mia macchina è guasta e non posso andare da nessuna parte che non sia un temporale…
Panico!
Mi sono accorto di aver detto la verità qualche volta di troppo, e ora non posso permettermi il lusso di dire ciò che penso…
Panico!
Ognuno è pronto a biasimarmi e mi accorgo che non me ne frega nulla…
Panico!
Non sento più panico…
La mia mente nuda non parla quasi mai. Sta lì. Vive e osserva in una perenne deriva verso quello che dovrebbe chiamarsi equilibrio e intanto consuma i vostri ritmi asimmetrici.
Panico!
Un altro capogiro e mi accorgo che ho troppi gusci al posto mio e ognuno di questi esiste in funzione degli altri…
Cosa ci fa la mia vita nella vostra?
Una domanda che non voglio più fare…
Aldilà di queste maschere sto bene, anche se cambio spesso colore, anche se mi invento nuove espressioni, anche se la parte è sempre un’improvvisazione, anche se i miei personaggi non cercano mai un autore, anche se sto soffrendo per lo meno non si vede perché bisogna aprire un po’ di gusci…
Cosa ci fa la mia vita nella vostra?
Proprio non lo so, ma credo sia un bene, perché nascere e morire non è mai per nostra volontà.
Sul divenire si può fare qualcosa
No panic
Non sento più panico

domenica 16 novembre 2008

venerdì 7 novembre 2008

Io sto bene


È una questione di qualità
o una formalità
non ricordo più bene una formalità
come decidere di radersi i capelli
di eliminare il caffè, le sigarette
di farla finita con qualcuno
o qualcosa, una formalità una formalità
o una questione di qualità
io sto bene io sto bene
io sto male io sto male
io non so io non so
come stare dove stare
non studio non lavoro non guardo la TV
non vado al cinema non faccio sport
io sto bene io sto male io non so
cosa fare non ho arte non ho parte
non ho niente da insegnare
è una questione di qualità
o una formalità
non ricordo più bene, una formalità

( C.S.I. / In quiete 1994 )



Non abbiamo nulla da fare e tutta una vita per farlo , scriveva, all’incirca così , Jack Kerouac…
Andremo avanti sempre e comunque
Spingeremo tutto del nostro essere verso l’orizzonte
Non diremo una parola per non rovinare il passaggio tra futuro e passato
Non chiameremo mai il presente col suo nome
Lo vivremo soltanto come realtà dal sogno, e quando ci sveglieremo saremo morti, caduti in un sonno senza ritorno…

È una questione di qualità
È una questione di qualità
È una questione di qualità


Staremo attenti solo a questo
Staremo attenti solo a questo senza pensare di dover poter spendere più degli altri
Senza pensare troppo all’avere, rapineremo il mondo del giusto…solo del giusto per noi.
Poi potremo regalare agli altri la gioia di essere noi stessi

Una formalità
Una formalità
Una formalità


Affanculo le cose che contano
Affanculo le cose che contano e chi pensa di contare
Contare qualcosa per loro è come contare i soldi o le apparizioni in TV…
Cercheremo di non essere ripetitivi, al limite potremo diventare paranoici, ma anche no…
Affanculo le cose che contano!
Insieme alle processioni, ai falsi auguri e tante grazie!

C’è un tempo per essere grassi e un tempo per essere magri
C’è un tempo per essere onesti e un tempo per essere bugiardi
C’è un tempo per essere tristi e un tempo per essere allegri
C’è un tempo per essere e un tempo per annullarsi
Un tempo per credere e un tempo per far credere
Ma soprattutto c’è un tempo per non preoccuparsi di tutte queste sciocchezze

È una questione di qualità
È una questione di qualità
È una questione di qualità


Non m’importa che tempo dovrà venire

Io sto bene io sto bene
Io sto male io sto male
Io non so io non so
Come stare dove stare


Non m’importa di quante stagioni sarà fatta la mia giornata

Io sto bene io sto bene

Tutto quello che voglio sarà tutto quello che verrà a me

Io sto bene io sto bene

Non ho niente da fare in questa vita
Soltanto una cosa mi lega a questo tempo
Lavorare per la felicità

martedì 4 novembre 2008

Indovina chi viene a pranzo?



Miser chi speme in cosa mortal pone

( Petrarca, Triumphi Mortis )



Cos’è questo rumore? Così all’improvviso, sale, sale nella testa, nella mia testa senza sale. Risuona nella mia testa vuota e fa male. Sembra qualcosa che cade, grosso come un’ala di aereo. Un incidente mi viene a trovare all’ora di pranzo, e non ci credo. Sento che stanno cadendo. Sento che stanno cadendo dei grossi pezzi dall’alto. Arrivano! Arrivano giù! Si schianteranno. Si stanno schiantando al suolo e cadono uno sull’altro! Ripetutamente. Devo guardare! Devo voltarmi. Devo capire. Ma nessuno sente questo disastro? Mi volto e realizzo che i fiori nel vaso stanno perdendo i petali. Sento questi grossi pezzi cadere. Muovono l’aria e mi colpisce lo schianto, il tonfo suicida sul centrino bianco ricamato ad uncinetto. E sento i lamenti dei fiori amputati che stanno nel vaso di vetro, costretti a vivere in apnea. Sono malati. Portano dei tubi al naso per respirare, immersi in un liquido che putrida la loro essenza. Loro, col volto aggrinzito e sofferente, apatico, aspettano l’ultimo petalo cadere. L’ultima boccata d’aria in tubi verde clorofilla.
E cosa sono questi rumori di lotta? Metallo contro metallo. Metallo contro ossa. Metallo che non cede il passo e si scontra con tutto quello che trova. Sento il chiacchiericcio disperato dei soldati. Urlano e ridono. Una carica devastante mi travolge senza poter decidere da che parte stare. Forse da nessuna. Come è stupido morire in mezzo a due fazioni da neutrale. Aspetto solo il caffè per ritirarmi dal pranzo della domenica. Carne fatta a pezzi e abbandonata sul campo. Gloria che si sazia di alta pasticceria e sigarette di monopolio. Mi pulisco il muso con la bandiera bianca e guardo fuori.
E adesso cos’è questo? Sento il vetro della finestra stridere, graffiato da lunghe unghie di bronzo. E una bocca che s’apre fino allo stomaco perde tutta la sua forza per un grido. Scendono le unghie, restano ancora aggrappate al vetro. È un’anima che muore. Gli ultimi stridi di una mano fredda. Scendono le unghie. Scendono e fanno spazio al sole che illumina un vaso di fiori da cambiare, una tavola da sparecchiare e una mano che mi porta del caffè.
Cos’hai? Ti senti bene?
Si. È solo un po’ di stanchezza.

domenica 2 novembre 2008

martedì 21 ottobre 2008

Roberto Saviano

lunedì 20 ottobre 2008

Electricityscape ( morte di provincia pt 3 )






















Oh with strangers to impress so near
Old friends don't realize I'm here
I wish two drinks where always in me
I'd pretend I had the perfect day

Take me to the water
Make me understand
That I was wrong

For me tomorrow is my first day
So please don't tempt me in the wrong way

It's almost after midnight
I can see the city lights, we're here.

Change your mind tonight
You belong to the city now
and you're closer now, I know
You belong on the radio

I swear I'll give it back tomorrow
But for now I think that I'll just borrow
All the chords from that song
And all the words from that other song I heard
Yesterday

Change your mind tonight
You belong to the city now
And you're closer now, I know
You belong on the radio

I will not disturb you
I was just returning you a compliment

( The Strokes / First Impressions Of Earth 2006 )


Spero che tutto si sciolga presto, come mi sciolgo io in un niente fatto di tante piccole cose.
Spero che tutto si sciolga presto, come fa il ghiaccio in questo cristallo che si colora di una fantasia di luce ambrata.
Spero che tutto si sciolga presto, come si scioglie la vista in questo fumo nostalgico che sale al calar del sole.
Spero che tutto si sciolga presto, come fanno i miei occhi sotto questa luna magnetica che si nasconde tra una nuvola e le sagome dei palazzi.
Uno straniero che va per stranieri, che gioca con lo spettacolo più grande del mondo ( Bukowski docet ). Uno straniero che va per stranieri, che non ne ha mai abbastanza di questo niente, di questo niente così leggero ma così importante.
Uno straniero che ritorna da solo da dove è venuto per una strada che si scioglie nel buio.
Spero che tutto si sciolga presto e che possa arrivare dove scorre l’acqua per inchinarmi al miracolo che si consuma sotto le luci distratte della grande città.

Take me to the water
Make me understand
That I was wrong


Spero di arrivare alla fonte.

For me tomorrow is my first day
So please don't tempt me in the wrong way


Domani è sempre il primo giorno.
Intanto sperimentiamo i modi sbagliati per trovare gli equilibri che non abbiamo. Sperimentiamo e provochiamo noi stessi in questo gioco spettacolare!

Spero di arrivare alla fonte affinché i miei occhi si sciolgano.
Domani è sempre il primo giorno e non faccio altro che sentirmi uno straniero. Uno straniero che va per stranieri. Domani è sempre il primo giorno e questa dimensione non si può dire ne buona ne cattiva. È come girare attorno allo zero, ed ecco che la città si scioglie e io posso raggiungere la fonte e sentirmi serenamente alla fine.

domenica 19 ottobre 2008

Alla follia! ( morte di provincia pt 2 )



Amare alla follia!
Odiare alla follia!
Uccidere alla follia!
Vivere alla follia!
Un inno alla follia!
Alla follia è il canto che ci porta tutti all’albero della cuccagna, malandati dell’animo e vestiti di stracci firmati.
Alla follia! Alla follia!
Cos’è la follia? Forse non esiste come non esiste la normalità.
L’unica follia è abituarsi alla follia, quando ci perdiamo sotto l’albero della cuccagna, che non fa altro che renderci miserabili.

sabato 18 ottobre 2008

Piccola Italia ( morte di provincia pt 1 )


Questi luoghi non dicono nulla. Non devono dire nulla. Devono rimanere nel loro anonimato, loro e chi li abita. Questi luoghi guardano le grandi città, l’Occidente nelle sue forme più moderne; lo ammirano per la sua emancipazione, per il progresso, per il suo ideale di vita e di benessere. Il sogno Americano che fa sognare l’Occidente e il Mondo, soprattutto le province. E l’Italia che si fa adottare dall’Europa sogna un po’ l’America dei grandi formati e un po’ meno la Russia Rossa meno Rossa e meno Russia ogni volta che perde i pezzi e scoppia una guerra per l’indipendenza. Viva L’Italia alla De Gregori, sempre la stessa, forse un po’ peggiorata da quel disco in poi, sicuramente ancora provinciale. Si! L’Italia con le targhe europee a norme CEE, in provincia di Washington D.C.
L’Italia che butta l’italianità del suo lavoro, con i grandi marchi contraffatti e intanto mangiamo, vestiamo e viviamo in un benessere ( ? ) Made In China.
Provincia stupida!
Provincia stupida che si crede chissà che! Che crede nella sua emancipazione. Crede di essere come nelle grandi città, invece, è solo un’imitazione molto buffa. La provincia deve fare la provincia. Con piccole città a misura d’uomo e non con piccole città a misura di architetture utopisticamente virtuose, sempre in cantiere, con i lavori che poi non vengono finiti o al massimo fatti male. Non critichiamo però! Siamo tutti nella stessa barca che affonda, e fare di più non serve…
Si salvi chi può!
Non parliamo di cambiare le cose, non parliamo per favore di utopie!
Non critichiamo! Che non ci vengano a dire che siamo dei sognatori, che la realtà è diversa e che il progresso in fondo è un’imitazione del progresso. Si! Il progresso si misura in soldi, non lo sapevi?
Ma le qualità che sento vere non si possono comprare, per tutto il resto c’è la carta di credito…
Life is BAU!
La mia banca è indifferente!
Ok !
Globalizziamoci come vogliono loro, e attenzione ai falsi no global!
Che cosa vogliamo di più?
Il popolo delle libertà è sempre più libero e fa quello che gli pare. I governi ombra lo erano anche al governo. Ma a noi che ci frega? Le statistiche dicono che va tutto bene, che il trucco è perfetto, che i capelli, le tette e le labbra crescono sempre di più! E la provincia? No…la provincia non esiste più. Tutto il mondo è paese! Si…ma quale di grazia?

lunedì 13 ottobre 2008

Nient’altro che se stessi


« l'empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell'altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l'uomo è in continua competizione con gli altri uomini. » di Geoffrey Miller

Fonte: Wikipedia



C’è sempre qualcuno più sveglio di te
C’è sempre qualcuno più bello di te
C’è sempre qualcuno più forte di te
C’è sempre qualcuno più fortunato di te
C’è sempre qualcuno più in salute di te
C’è sempre qualcuno più ricco di te
C’è sempre qualcuno più bravo di te

C’è sempre qualcuno che di tutte queste cose ha meno di te, ma non sentendoti in competizione, non ci fai caso.

C’è sempre qualcuno più pratico di te
C’è sempre qualcuno più sognatore di te
C’è sempre qualcuno più scazzato di te
C’è sempre qualcuno più alla moda di te
C'è sempre qualcuno più complicato di te
C’è sempre qualcuno più opportuno di te
C’è sempre qualcuno più sintetico di te

E non è mai una banalità sapere che non c’è nessuno come te. Questo è l’unico vantaggio che si ha con quelli che sono più e meno di te. L’unica qualità che si ha e che si può condividere è l’essere se stessi. Nessuno è come te. Nient’altro.

sabato 11 ottobre 2008

Soli al sole

Un giorno come un altro e un altro giorno ancora che la crisi avanza e l’umano diventa sempre più ridicolo, sempre più distratto, sempre più massificato. C’è poca gente in giro sotto questo sole strano d’ottobre. Non ci sono più le mezze stagioni. Anzi, non ci sono più le stagioni, o per lo meno non stanno dove dovrebbero. Si spostano in continuazione. Anno per anno. Da bambino sapevo quando aspettare la neve. Adesso non sappiamo nemmeno quando arriverà la prossima influenza. E che nazionalità avrà…
C’è poca gente in giro. Poca gente sotto il sole. Sono ombre accasciate e solitarie. E tutto sembra sbagliato. Ogni azione. Ogni pensiero. Ogni desiderio.
Persino i movimenti quotidiani si fanno pesanti. Diventano innaturali. Una mano saluta svogliatamente e una testa pensa altrove. Un piede ha la scarpa slacciata e un occhio non sa dove guardare. Poca gente sotto al sole. Poche ombre inutili. Poi piano piano ci si accorge di essere rimasti soli. Circondati da manichini. Con la plastica e il silicone in abbondanza, appena scappati dalle vetrine. Manichini umanoidi che sembrano vivi. Vestiti di plastica. Alla guida di auto di plastica. Che mangiano plastica. Irrigiditi dalla plastica.
Poche ombre inutili sotto al sole. Piegate in una macchia nera stanca. Distanti non molto dalle altre ombre ma divisi dalla plastica. E manichini. Già!
Stasera usciamo!
Mi raccomando metti la parrucca giusta!
Hai preso le riviste, quelle in? Così sappiamo sempre che umore avere. Stasera andiamo in un posticino a mangiare, dove non si sa da dove viene quel che cucinano ma ha un sapore così plasticoso...e anche il vino è buono. Sembra sempre quello dell’annata migliore. Non cambia mai anche se l’annata è stata pessima.
Speriamo di non trovare gente vera…sono così noiosi. Ridono per battute che nessuno capisce…così sofisticate. E poi non gli va mai bene niente. Non capiscono niente della plastica e rovinano sempre tutto. E poi si lamentano sempre che sono stanchi, che gli fanno male le ossa o i muscoli…
Quelli hanno sempre un sacco di problemi. Parlano di realtà. La realtà!? Mah! E poi dopo tutto trovi sempre quello ottimista…e chi li capisce!?

Il viola o il celeste?

Beh…quest’anno va ancora il viola. Metti la parrucca viola!
Però sbrighiamoci, che non voglio fare tardi. Sai…gli umani…adesso tornano dal lavoro e poi si lamentano del traffico. Tornano tutti allo stesso orario!
Andiamo che è tardi!

Si eccomi!
Oddio! Scusami, ho dimenticato un braccio sul letto! Faccio in un attimo!

Ah…le manichine…tutte uguali!

mercoledì 8 ottobre 2008

Fusion


In questo andirivieni non c’è molto da argomentare. Le cose più belle e quelle più cattive non hanno bisogno di parole, anche perché non si trovano quasi mai quelle giuste. E usare parole vuote…a cosa serve….
Bisogna aspettare il silenzio.
Bisogna aspettare il silenzio, non di certo facendo silenzio o solo abbassando lo sguardo.
Troppo vuoto.
Troppo pieno.
Eccoci al centro del mondo.
Eccoci al centro del mondo, proprio qui, dietro l’angolo. Dietro un qualsiasi angolo, aspettando di trovare un buon Caffè, oppure una strada illuminata, oppure qualcuno appena tornato dal deserto.
Eccoci al centro del mondo, ad un metro dalle nostre aspettative, ad un metro da noi stessi, ad un metro dall’ispirazione.
Eccoci al centro del mondo, dove possiamo incontrare guerrieri superstiti dalle loro battaglie senza reporter, dove l’aria è colma di delusioni senza foto e di gioie senza peso.
Eccoci al centro del mondo, dove un santo si confonde nel peccato, e dove tutti ce l’hanno con tutti e il meglio che riescono a fare è prendersela con i mulini a vento.
Allora non c’è nessun nemico oltre il nostro orgoglio stupido.
Eccoci al centro del mondo, ma non ce lo diciamo. Siamo proprio nel punto esatto. E ogni punto è quello esatto. Basta sentire la fusione. L’equilibrio delle forze libere.
Siamo in fusione.
Ma mi raccomando al silenzio.
Più che parlare e descrivere penso ci convenga ascoltare.
Troppo vuoto.
Troppo pieno.
E ogni volta c’è qualcosa di nuovo
Ogni volta ci credo
Ogni volta cado
Ogni volta è l’ultima
Ogni volta non mi rimane che aspettare il silenzio e sentire la fusione.

domenica 28 settembre 2008

Aggirate resistenze



Prima di dire io sono, prima di dire io sono qui, sono arrivato qui, dovremo sentire uno spostamento, un flusso di noi stessi, della nostra psiche oltre la memoria di un corpo che diciamo nostro . Prima di dire “ io sono ”, pensiamoci bene. Si può essere sicuri dell’essere?
Oggi più che mai credo di non poter affermare ciò.
Oggi più che mai non dico io sono. Mi dico “ io divengo ”.
Allora posso dire di essere venuto qui, ma io non sono qui. Io non sono qui. Io percorro qui. Se dicessi sono qui potrei dirmi morto. Io percorro qui in quanto il mio essere è divenire, e il suo divenire passa in questo luogo. Tutto è in evoluzione. Un turbinio di energia che non si ferma mai, e l’occhio nudo tradisce la sua natura. Non vede le aggirate resistenze. Vede solo un blocco materico e afferma di potermi fissare. Ma si ha solo l’illusione di poter fissare qualcuno o qualcosa. Una macchina fotografica può cogliere le sbavature del corpo in un attimo più o meno preciso. La macchina può, ma non di certo il fotografo che sta scattando la foto o uno qualunque di noi può avere la pretesa di fissare qualcosa. Io guardo, osservo ma non fisso, cerco solo di prolungare lo sguardo. Cerco solo di aggirare le resistenze che formano la materia, l’energia invisibile che modella la vita.

Grazie Carlo

venerdì 19 settembre 2008

Saltimbanco ( Storia di uno Zanni qualunque )

Io avevo già visto…
Ne abbiamo visti molti, moltissimi, se ne vedono e se ne sentono..eh già ! Ma io ero sicuro di avere visto giusto, pur non essendo un giusto, anzi..Vedi, questa potrebbe essere una storia di quelle romantiche, anche un po’ drammatiche, sicuramente c’è del dramma, ma io mi sono salvato scegliendo altre condanne. Vedi, questa potrebbe essere una storia dell’otto100 che fu, una di quelle belle storie dell’otto100, che pensiamo di conoscere ma che non abbiamo visto mai. Si, bel tempo, bel secolo. Ma potremo dire di più. Vedi, questa potrebbe essere una storia del nove100. Diciamo della fine del nove100. E poi la fine di un secolo assomiglia alla fine dell’altro secolo trascorso, e non c’è mai un taglio netto con l’inizio del nuovo. Beh, potrebbe essere una storia della fine del nove100, o proprio di questi anni. Potrebbe essere una storia che non dice niente, una storia da raccontare con un cinismo un po’ sorridente, tanto da non sembrare poi così triste. Una storia che non dice niente e niente è stato detto ancora. Oppure, potrebbe sembrare una di quelle storie già sentite, già vissute, già viste, che non fanno tanta audience, che sembrano pericoli scampati, paure lontane, cronache impastate nelle mani che si strofinano il mento, si appoggiano al volto e si danno una grattatina tra una sigaretta e l’altra. Torniamo a noi, o a loro se preferisci. Si, perché io avevo visto giusto, anche se era buio e i volti hanno poche luci. Ma certe luci fievoli dicono molto di più di una luce piena. Già! Poi si potrebbe trattare solo di cronaca. Siamo degli osservatori. Siamo interpreti. Siamo attori, nella parte e fuori la parte. Siamo mendicanti del palcoscenico, e spesso il palco e la platea sono solo una strada buia e vuota. Siamo dei servi evoluti, che sanno quello che fanno. Servi si, ma per finta. Abbiamo visto giusto e poi, forse, abbiamo interpretato male. Siamo protagonisti e spettatori. Guarda la! Le chiamano perversioni sessuali. Guarda più avanti, la chiamano fede. Ci sono altri servi, forse ancor più di noi, proprio la dove c’è il potere. Potrebbe essere una storia che parla di una certa schiavitù oppure della mia liberazione. Si! Possiamo dirci liberi, ma non ci piace nemmeno troppo. Ci attacchiamo a un disegno, ad un copione da improvvisare. Potrebbe essere una storia che parla di libertà. Della liberazione, anche se ci piace far ciondolare le nostre catene. Facciamo credere ai padroni che non siamo capaci di acrobazie, perché loro ce le chiederanno comunque. Quattro stracci e un po’ di fantasia. Mi guardo addosso e cerco uno specchio. Qualcosa per specchiarmi che non sia uno specchio. Ebbene, cerco sempre, senza sosta. Cerco di trovare in me un essere umano, un animale, un corpo astratto. Cerco di essere e di capire cosa si è nell’attesa di cosa si diventa. Mi guardo addosso e cerco di trovarmi, forse cerco qualcosa che ho dimenticato nelle tasche. Probabilmente non ho le tasche che cercavo. È stata dura, molto dura. Provo a cambiare, sempre. Ma t’immagini la vita eterna? Sarebbe tutto davvero noioso. Avrebbe meno senso di quello che posso dare io adesso a tutto quello che mi circonda. Sarebbe una brutta storia. Una brutta storia senza finale. E un finale ci vuole. Ci vuole sempre un buon finale. Meglio un buon finale che un buon inizio. Torniamo alla storia. Potremo raccontare una storia moderna, ma che in fondo non si può datare con precisione. Potremo avvalerci di mezzi semplici per effetti speciali. Sono da sempre le stesse cose che cambiano, eppure sono le stesse. Il Verbo è antico. Bisogna trovare qualcosa. Ecco! Il Verbo coniugato in un megafono dirà :

Io Saltimbanco
Tu Saltimbanco
Egli salta in banca
E sopra la banca la capra canta e sotto la panca la capra prega.

Deus ex machina per l’occasione. Per l’occasione useranno la televisione. Tempi moderni…
È incredibile come molte cose siano cambiate, e come tutto sia in evoluzione. Ma non dobbiamo affezionarci troppo al principio, allo start. A questo punto ti mostrerò le mie righe verticali. Sono strisce dai riflessi cangianti, ma scendono bene su tutto. Posso stupirti ancora un po’ abbassando la voce e alzando il tono, ma non bisogna impressionarsi. In fondo la semplicità è una cosa molto complessa. E io sono sicuro che avevi visto giusto. Forse quel punto che brilla la giù in fondo ci sta guidando. Spero che sappia quello che fa. Ma qualcuno lo saprà di sicuro. Ma non ti preoccupare, rendi le cose semplici. Non chiedere e osserva bene. Poi vai dritto. Fai come faccio io. Vedi come mi stanno bene queste righe. Sai, prima erano opache, adesso credo che si fonderanno in un unico colore. Beh se dovessi scegliere una fine sarebbe un po’ un problema…è difficile…
Quindi…
Penso proprio di rimandare la questione alla prossima esibizione.
Probabilmente partirò dalle tasche.
Oppure andrò dritto verso quel punto luminoso.
Probabilmente perderemo il prossimo spettacolo.
Probabilmente…
è già cominciato…

lunedì 8 settembre 2008

Smoking area


Nicotina, monossido di carbonio, catrame, formaldeide, acroleina, ammoniaca, fenoli, acido cianidrico, polonio 210, cadmio, nichel, ossidi d'azoto, arsenico, derivati del cianuro, acetone, acido silicico, acido carbonico, acido acetico, acido formico,acido benzoico, diossido di titanio, prodotti sbiancanti delle ceneri, carta, legno e coloranti…

martedì 2 settembre 2008

Sacro fuoco olimpico

lunedì 18 agosto 2008

domenica 17 agosto 2008

Mezzanotte


Che meraviglia questi arcobaleni. Che meraviglia queste aurore. Tutto si colora come un puzzle bizzarro senza schema apparente. Tutto può diventare sbagliato. La tortura è in agguato. Che meraviglia questi arcobaleni con i suoi folletti colorati. Sempre più matti e sempre più complessi. Che meraviglia queste aurore che ti portano lontano e lontano ti sembra il posto più vicino a te. Che meraviglia queste aurore in cui sei sospeso. Che all’improvviso possono lasciarti cadere nel vuoto di un bruciore e con gli occhi che hanno vergogna a spalancarsi, puoi vedere la caduta. Ma hai la testa alta, preparata al peggio.
Che strazio colorarsi di invenzioni. Che strazio adesso che ci possiamo permettere un bianco alla moda. Che strazio il mio mimetismo sobrio. E gioca e canta e salta e menti come nessuno s’aspetta e nessuno poi ci fa caso. La tua casa è il caos. La strada del caso è senza indirizzi, e prima o poi le lettere arrivano sempre. E non vorresti bruciarle. E non vorresti metterle li una sopra l'altra ad aspettare il tempo che passa come un tango che ti consuma i passi. E stai in piedi prima del sonno che meriti. Finché non crolli in sogno. Finché non ne puoi più. Finché puoi dimenticare.
Che bello essere sicuri della propria distrazione. Senza sentire il peso delle cose, del tempo, degli eventi, e poi, per caso, per sfortuna, tutto ripiomba muto. Affogati pure, ma il respiro conosce l’affanno e sa dove manca l’aria. Affogati pure, ma il respiro sa dove tacere. Affogati pure e gioca con le parole. Se non parli perdi. Se parli sbagli. Allora non c’è capo e non c’è coda, non c’è verso ne direzione. Salta un rumore nella testa, e non è oro, ne argento ne mercurio quello che vedi. È solo un rumore. Un’ispirazione. Un momento. Dramma. Gioia. Confusione.
Intorpidisciti l’aura. Fallisci e rendi grazia. Il resto è spreco. Il resto non sfama. Il resto storpia. E il corpo si fa pesante, ma non è il corpo. È l’aura che si sporca e si ammala. Decidi tu la mezzanotte. Decidi tu quando dividere il giorno e la notte. Decidi tu da che punto guardare le stelle. E rema, rema, rema fino a consumare i gomiti e la volontà. Il mare è un cielo stellato. E noi siamo marinai sinceri e cattivi. E io guardo lontano, sempre più lontano, incapace di spiegarti cos’è la mezzanotte, perché mi sono perso dentro. Proprio lì, nella mezzanotte di ogni momento. Che meraviglia questo incubo che chiamo sogno.

martedì 12 agosto 2008

Carmine Palatucci

Rapid Eye Movement


Ecco un nuovo trucco! Chiudere gli occhi per non farsi confondere dalla realtà in superficie. Chiudere gli occhi per non fermarsi all’aspetto visivo. Chiudere gli occhi e ascoltare bene. Snocciolare la verità. Chiudere gli occhi per non farsi ingannare. L’eleganza è un pitone albino che vibra in sonagli perfettamente circolari. La bellezza sfiora le sopracciglia come il vento. E il vento non lo puoi tenere per te. È solo di passaggio. Può distruggerti o sollevare. Puoi solo dirti fortunato se sopravvivi. Chiudi gli occhi e senti. Ascolta. E non importa se non riesci a raccontare qualcosa. Puoi passarmi la frequenza e l’elettricità. Puoi passarmi qualcosa che non invecchia e che ritorna vivo e immortale. Puoi sorridere e rischiare la follia. Puoi rannicchiarti sotto una pioggia di energia plumbea che scioglie il bronzo in oro, e gratta dalle tue spalle ogni peso. La mia inutile visione surreale rende giustizia alla vostra realtà di piombo. Tutti carnefici e tutti vittime per un pezzo di pane secco da mangiare senza denti e un orgoglio superiore alle vostre coscienze. Chiudo gli occhi ed è fantastica la vertigine del mio orecchio. Puoi inseguirmi nei miei sogni e nelle mie visioni. Ma non mi prenderai con una mano sugli occhi. Ne potrai mai perdonarmi per quello che faccio di me stesso. Non vi giudicheremo ancora a lungo. Saremo felici sopra e sotto le palpebre. Staremo zitti sopra e sotto le labbra. Muoveremo il mondo con gli occhi.

domenica 10 agosto 2008

I papaveri muoiono sotto il grano


Hai mai visto persone felici? Hai mai visto persone innamorate? Felici di esserci e innamorate della vita, anche se non è sempre il massimo. Ci sono le formiche, le cicale e poi ci sono le persone innamorate. Quelle che si innamorano sempre, anche per una sciocchezza, che si piegano come le formiche e cantano come le cicale. Che hanno il sudore al posto delle lacrime, che hanno la pioggia al posto delle lacrime, che se piangono, piangono per davvero, e li, non ci puoi arrivare. Che se ridono, ridono per davvero, e li, non ci puoi arrivare. Che sono come un ventaglio e un paio di occhiali da sole, che sono come un martello e due chiodi in bocca, che sono come una chitarra e un bicchiere di vino buono, che sono sempre li, pronti ad essere pronti. Sempre li, pronti ad andare lontano. Sempre li e contenti di restare. Ogni pena è una ruga e ogni ruga scava un sorriso in volto.
Hai mai visto persone felici che non hanno religioni, credi o sogni troppo grandi? Hai mai visto quelli che si perdono nelle piccole cose e sembrano eterni bambini? Li trovi li, come i papaveri sotto il grano. Persi nella filiera della produzione. Nella grande catena. Sono lì a colorare il campo di punti rossi. Persi nell’oro a buon mercato. Persi nella società della pop-art. Che quasi non ci fai caso, ma ci sono. Che si ammalano e nessuno se ne cura. È dura essere quello strano. È dura cercare di adattarsi. È dura essere fiore di campo e non fior di grano.

sabato 2 agosto 2008

Jazz & Peroni

Notti di note blu, notti annotate con le unghie, notti note ai meno e care a noi, i più, sempre di più, sempre più alla deriva in un anonimato che osserva e si guadagna una vita povera, misera ma bella. Jazz e Peroni, musica politica e birra economica. Musica per un’atmosfera dalle mille sfaccettature e dalle mille contraddizioni. Birra per curarsi e stare un po’ male. E ogni personaggio suona le sue note blu nel chiacchiericcio fumante di tavoli e sgabelli. Una chiacchiera be-boppa veloce come su un piatto enorme mentre swinga una risata e trip to trip, chick pa chick, fly, drive, cry, smile, try.
Ok, si, ma per niente. Si. Ma è ok.
Le lingue di fuoco s’arrotolano e bruciano le nostre tele, i volti sbiancano, le teste sono già in pose plastiche e poi, poi un colpo allo stomaco, è come mangiare ghiaccio.
Ok, si, ma per niente. Si. Ma è ok.
Il temporale ci aveva abbandonati a noi stessi ed eravamo veramente noi.
Come si fa ad uscire da questo cubo magico? Da questa trappola colorata.
Questa vita è un gioco, ma è un gioco serio.
E trip to trip, chick pa chick, fly, drive, cry, smile, try.
Appena posso, si, certo. Appena puoi. Beh, in fondo avere ragione non conta molto. Avere ragione non conta. Conta avere. Ma sai…no…non lo so. Non lo sappiamo e giriamo attorno al cubo per trovare la soluzione. È inutile fare forza. Va a finire che si rompe. Si. Forse dovresti dare un segno e strappare la realtà. E già.
Un gran pa pa tuh chak! E poi ancora trip to trip, chick pa chick, fly, drive, cry, smile, try.
Il contrabbasso suona da Dio ma ha un grande vuoto in corpo. E più si svuota più riesce a riempire le distanze. Più sente dolore più si percepisce una presenza viva, vera. Il trombone smilzo si prende una pausa. Poi tutti alzano gli ottoni al cielo e battono i piedi tip e i piedi tap, mentre una nuvola tossica ma invisibile si alza su per la collina. Nebbia che uccide. Si potrebbe andare all’infinito in un trip to trip, chick pa chick, fly, drive, cry, smile…try, try, try…ma c’è questa cosa strana nell’aria. Penso di non averti mai visto così bene prima di questa sfumatura Questa luce fioca in quest’aria consumata mi intossica e m’illumina. E non penso che nessuno abbia avuto il modo e il tempo o la voglia di dire ciao, addio, arrivederci o qualcosa di simile. Bene.
Ok, si, ma per niente. Si. Ma è ok. E ancora fly, drive, cry e trip to trip, chick pa chick, fly, drive, cry, smile, try.

domenica 27 luglio 2008

High speed


















Can anybody fly this thing?
Before my head explodes,
Before my head starts to ring
We've been living life inside a bubble,
We've been living life inside a bubble

Confidence in you,
Is confidence in me,
Is confidence in high speed

Can anybody stop this thing?
Before my head explodes,
Before my head starts to ring
We've been living life inside a bubble,
We've been living life inside a bubble

Confidence in you,
Is confidence in me,
Is confidence in high speed
In high speed
In high speed, you want,
High speed, you want,
High speed, you want

( Coldplay / Parachutes 2000 )

Che malattia vedere la lancetta spingersi avanti sui numeri del tachimetro. Che tentazione il sorpasso. Sono ad alta velocità e l’asfalto sfuma come celluloide rovinata dal tempo e non mi fa capire che film è questo. E ogni sorpasso è un rischio. Sempre più veloce e intorno nell’aria una musica un po’ lenta, il sole sta per scendere e le mie braccia sudate riflettono oro vivido. Non si dice. Non si fa. Ma se riesco a controllare la curva so di poter respirare. Le mie ore sono piene di tipi folli. Folli d’appartamento. Paranoici della precisione, storti e piegati dagli eventi. Folli da strada, viandanti e gente che si perde continuamente. Folli da calcolatrice, perché tutto è un calcolo e le somme e le equazioni non sono mai giuste. Tiro un altro po’ e penso di uscire tardi quando la serata per molti sarà quasi al termine. Ma la notte, la strada, sono terra di nessuno ad una certa ora.
Sopravvivere ad un’altra curva e pensare che in fondo non è una pista. Non è nemmeno un gioco. Ma ho un lucido controllo e questo mi basta. Chissà perché i miei chilometri non sono come i tuoi, forse sono più lunghi. Chissà perché le mie ore non sono come le tue. Chissà perché non è una domanda, è solo un sovrappensiero. Riconosco molte persone ma non ne saluto nemmeno una. Nemmeno loro si sono accorti di me. Mi piace osservarli quando non si sentono osservati. E poi mi concentro sugli estranei. La rossa grassa col culo grosso saluta, la bionda triste sbotta e sputa, il vecchio con la macchina fresca di concessionaria non arriva a cambiare la marcia. Col suo motore nuovo nuovo che io me lo sogno, e lui non ce la fa proprio. I solitari aspettano le puttane, come i diamanti. E altrove qualcuno regala felicità, un aperitivo e qualche parola giusta. Giusta per l’occasione. Qualcuno non se lo aspettava. Qualcuno conta fino a 10, 100, 1000 prima di sclerare e poi perde il conto. Qualcuno si nasconde e aspetta un rituale senza strappi alle regole. Alta velocità e non credo ci sia un limite. Alta velocità e qualche testa scoppia. Alta velocità e non si torna indietro. Alta velocità e bassa qualità. Si. Ma quello che importa è spingersi anche se la visuale è limitata. Anche se si sacrifica la squadra. Alta velocità non pensare. Non pensare. Spingi! Alta velocità e bassa qualità.

sabato 26 luglio 2008

Mala natura



Questa è la canzone del diavolo che sconta le sue pene e la sua mala natura.
Che sprofonda nelle viscere della terra e non s’arrende, che urla e latra versi al cielo, perché guarda al cielo con occhi senza misericordia, cacciato per sempre e costretto alle fiamme.
Questa è la canzone di un povero demone che si lega alle caviglie di chi esorcizza il male e sogna il bene, che cammina in strada e non può volare perché possiede ali troppo piccole. Non c’è niente di male in queste percussioni. Non c’è niente di male sotto le gonne che volteggiano attorno un punto che non si sfiora e cercano l’altra anima dannata. Niente di meglio che schiacciare il diavolo sotto i piedi in una danza tarantolata. Questa è la canzone della follia che interpreta il divino amore in un bicchiere di vino con un bacio umido di vita. Questa è la canzone dei berretti rossi custodi delle idee. Questa è la canzone dei viandanti sotto la luna. Posso dire che il bene e il male si assomigliano nelle vesti e nei laccetti. Posso dire che il bene e il male non si attraggono e si respingono nel ritmo eterno e non si sfiorano mai attorno un punto o ad una figura umana.

domenica 20 luglio 2008

Interpretare Dio

Ci siamo inventati Dio e la sua discendenza.
Ci siamo inventati la casta, i nobili, i sovrani e i politici, reclame sempre uguali da millenni, trasfusioni di sangue blu, pallido nei volti e meno umano nelle intenzioni.
Ci siamo inventati la rivoluzione, guerre e maratone, passa il testimone ed ecco i nuovi figli del sole, sempre più pallidi. Ci siamo inventati i vampiri, i grandi condottieri liberatori delle masse, nuove leghe per il ferro e l’acciaio, nuove alleanze e nuovi territori da spartire.
Ci siamo inventati la democrazia dove tutti sono liberi e dove ognuno può lavorare per la libertà propria e altrui. Ma vuoi mettere sentirsi più agili del prossimo, più scaltri e ricercati?
Ci siamo inventati il mondo piatto, poi quello a sfera, poi la vita su altri mondi.
Ci siamo inventati le piramidi, dove un gioco archeologico di interpretazioni si perde per ogni nuovo scavo. Ci siamo inventati le roccaforti, i monasteri e i chiostri, dove alla pace del marmo che passa sotto ai piedi e riecheggia nei porticati si contrappone la voce arrogante di religiosi sboccati e miseri nella loro centralità.
Ci siamo inventati i bar dopo il lavoro, ci siamo inventati i bar prima del lavoro, ci siamo inventati i bar nell’attesa del lavoro. Ci siamo inventati gli alfabeti, lingue e scritture e poi, come animali che inseguono la bellezza e perdono un po’ di grazia, ci accontentiamo di confonderci e parlare con gli occhi, le mani e le pieghe del volto.
Ci siamo inventati la satira, le maschere e la censura. Ci siamo inventati la magia, l’alchimia, la chimica e i processi nucleari. Abbiamo catalogato tutto…un giorno qualcuno vedrà la nostra idiozia conservata in una scatola lanciata nello spazio.
Ci siamo allontanati all’inverosimile da noi stessi cercando altrove senza avere bene in mente le domande. Interpretare Dio e chi dice di conoscerlo. Interpretare questo vortice immenso che piano piano si consuma e si riprende. Interpretare oppure lasciarsi andare cercando di sciogliere le smorfie di dolore e piegare il volto in un sorriso, un sorriso accennato e disteso. Guardo il mondo e mi specchio ogni giorno di più.

sabato 5 luglio 2008

Un’altra addizione


Uno sguardo meno un sorriso fa uno straniero, anche in patria
Un sorriso più una frase astuta fa una fregatura
Una legge più una legge più una legge fa ingiustizia elevata alla burocrazia
Una rivoluzione diviso il numero delle vittime rende sempre un assurdo
Una casalinga più un disperato più un pensionato più un bambino più uno scomparto di pile lamette e preservativi fa una fila alla cassa del supermercato
Una birra più una birra più qualcos’altro fa un ricordo confuso virgola tempo d’ozio
Una parola detta male più qualche urla fa un silenzio atroce
Un sogno più un sogno non fanno quasi mai una vincita al banco lotto
Un viaggio più una bella fotografia fa un nuovo biglietto per partire
Questo tempo meno te fa male
Io più io fa siamo già in troppi ma manca sempre qualcosa

mercoledì 11 giugno 2008

Ho paura di me stesso


Perché ho bisogno di sensazioni forti.
Perché mi sento o troppo allegro o troppo triste. Perché voglio tutti i colori e poi, alla fine, scelgo sempre un bianco e nero che ha stile. Uno schizzo bizzarro. Qualcosa che squarcia il mondo senza dettami.
Geometricamente indipendente.
Perché sono esagerato a modo mio. Dall’altra parte cerco la semplicità, e nella semplicità il modo migliore per vivere e per contraddirmi. Perché mi ci vuole un parametro che possa amare e odiare allo stesso tempo. Ho bisogno di piccole rivoluzioni. Di sfidarmi senza mostrare agonismo. Di essere il primo e sentirmi come l’ultimo.
Devo cambiare sempre e ogni volta vacilla una paura che devo superare. Supererò anche questa prima della prossima rivoluzione. Posso spiegarti la mia vita, ma sarebbe inutile. Preferisco parlare di me come di qualcun altro. Preferirei non parlarne. Preferisco uno scontro romantico con la vita. Supererò pure questo prima della prossima rivoluzione. E questo taglio rosso e caldo implica solo un silenzio.

domenica 8 giugno 2008

Ho sempre me


Questi dadi
non segnano mai più di dieci
fanno così … per non compromettersi

La stanza in cui vivo è un dado,
ma non ho abbastanza mani
per tirarlo lontano

Distanze che non percorro mai
per una probabile carenza d'ossigeno,
devo ancora imparare a respirare
ma mi va bene così
e non ho tempo per cambiare … poi

Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me

I tuoi grandi sorrisi
accendono il buio
però menti se scrivi che
torni subito

O forse è meglio così
io non t'aspetto
potrei avere qualche problema se tu
tornassi davvero, ma …

Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me
Ho sempre me


Cristina Donà / Tregua 1997


Ho acceso tutti gli stereo, i lettori dei computer, le radio e gli amplificatori. Ho alzato moltissimo il volume e ho l’umore che rimbalza dal pavimento al soffitto. Ho chiuso bene la camera e ho spento le luci. Le spie e i led bucano il buio come lucciole. Ho acceso le candele e non trovo gli incensi. Li dovrò comprare…. Tarantolato, oramai non mi resta che ballare con gli spiriti immaginari e fare un viaggio nel tempo.
Suonano forte i tamburi, riecheggiano i pianoforti, svalvolano le chitarre. Ho in mente i libri non letti. Ho in mente le melodie che non riesco a suonare. Sono lontano dalle parole. Molto lontano. Sono contento pure di non cercarle. I volti si sciolgono con leggerezza. Per primo il mio. Ma è solido negli intenti.
Batti tamburo! Batti il muro! Batti!
Nessuna giustifica! Nessuna soluzione! Nessun esorcismo!Nessun invito! Nessuna sfida!
Adesso ho i pensieri tonici e un sorriso trasparente. Una nuvola nera sul capo che posa sopra il mio cappello a punta. Ho voglia di fare un giro. Di prendere un gelato. Di riempirmi di niente.

venerdì 6 giugno 2008

Succhia miele


Piccoli campanelli suonano nel vento e non sai mai se sono un po’ avanti a te o se li hai già lasciati dietro.
La eco di un vuoto a se ronza persistentemente, e non sai fare domande, tantomeno rispondere. Ce l’hai qualcosa da dire. Ce l’hai qualcosa da sentire. Ce l’hai un gioco nuovo appena inventato, che tieni stretto in un silenzio. Un giro di parole che non sono tue e un infantile diffidenza strappati assieme da un sorriso. Sono tutti li sul lato della strada i fiori di campo. I fiori pazzi. La grazia abbandonata e selvatica. Fermati pure. E succhia il miele di nascosto. È semplice.
È semplice. Si prende un fiore e lo si tira in bocca. Tira pure il fiato col naso. Tira forte e schiaccia un po’ la corolla. Appena sopra il calice con la punta della lingua trovi il dolce e un pizzico all’anima.
Ce l’hai qualcosa da dire. Ce l’hai qualcosa da sentire. Ma evita e goditi il momento. Due dita affondate tra le vertebre e una mano che abbraccia il collo dal basso verso l’alto. Torna a casa e aggiustati le labbra.

sabato 24 maggio 2008

Vs

Ah! Beh…si…
Mi piacerebbe proprio vedere che faccia farai adesso!
Mi piacerebbe proprio vedere che smorfia t’inventi, con quale mossa sorprenderai tutti, all’improvviso. Così…senza avere un motivo apparente, senza una logica, tranne la tua, che in fondo cerca di auto decifrarsi, e poi gioca a nascondersi.
Mi piacerebbe sapere che voce romperà il silenzio sul tuo palcoscenico, che maschera indosserai questa volta, quale ruolo hai scelto per il nuovo atto.
Eh si…vorrei precederti! Questo è il mio desiderio. Anticiparti. Batterti sul tempo, ma non ci riesco mai. Non sei poi così furbo o astuto. Ma anche l’errore che ti può condannare non ti sfianca come dovrebbe. Forse la tua è solo fortuna. Oppure le tue sfortune non sono così grandi come dici..
Eh si…vorrei precederti! Anticiparti!
Mi piacerebbe sapere che fine fai quando scompari, dove vai a nasconderti quando chiudi la bocca. O forse è lì che ti riveli, lasciando lo spazio agli altri…eh già! Chissà che trucchi t’inventi e quali poi non usi, perché questo ti fa sentire più buono.
Mi piacerebbe pure parlare un po’ con te, ma non ce lo possiamo permettere spesso, e a volte è un bene.
Eh si! È inutile che fai finta di niente. Parlo con te. Proprio con te che stai davanti al tuo fottutissimo schermo e non dici una parola una, nulla! Che leggi e rileggi ancora. Che indugi sulla tastiera e poi scarichi una raffica di lettere.
Bene. Ci sei. Adesso qualcuno ha pure l’impressione di ascoltarti, ma in realtà io non ti ho visto, e tu non hai mai parlato. La cosa finisce qui, con la fine della frase che non sa come chiudere un discorso che non si è mai fatto.

venerdì 23 maggio 2008

Georges Méliès

giovedì 22 maggio 2008

Niente a che vedere col Comunismo

La felicità non è quello che si ha
La felicità è quello che si condivide

domenica 18 maggio 2008

Adesso puoi spegnere la TV


Guardami sono in TV!
Il giornalista parla alla camera e fa il suo servizio, e mentre la cronaca si fa seria ti chiamo col cellulare. Guardami sono in TV! Si! Accendi il televisore, sono in diretta! E me la rido come fossi la star del giorno. Sono io l’esclusiva! Posso tornare a casa fiero della mia inquadratura. Anche se abbiamo perso il filo del racconto, anche se la vita non passa quasi mai sotto i riflettori. Ma l’importante è avere un buon primo piano. Mi accontento anche del secondo. Guardami sono in TV!
Dovremo abituarci a uscire di casa tutti incipriati, messi a posto per un eventuale ripresa. Possiamo allenarci con le camere a circuito chiuso. Chissà che non becchiamo una rapina in diretta. Chissà che non diventiamo anche famosi senza però essere protagonisti.
Dall’altra parte il giornalista. Dall’altra parte della camera il pubblico. Dall’altra parte dello schermo ci siamo noi. Noi siamo sempre dall’altra parte, e tutto ci interessa, tutto ci appartiene e niente ci rimane. Noi che siamo dall’altra parte non abbiamo una buona inquadratura, e non abbiamo voce amplificata, e non facciamo gli opinionisti a turno, anche se abbiamo le nostre di opinioni e nessuno ce le trasmette.
Noi, topi di carbonerie metropolitane, di società segrete di provincia, di brigate di periferia sempre pronti ad andare lontano, a girare il mondo nei fine settimana. Noi, che poi ritorniamo a rantolare nei nostri quartierucci anonimi.
Innamorati del nostro giardino, possiamo farne a meno di certe luci artificiali.
Possiamo collegarci col mondo e dire addio quando vogliamo.
Possiamo spegnere e accendere a nostro piacimento.
Decidiamo davvero almeno nel nostro piccolo mondo. E possiamo davvero dire addio.
Dire addio per lasciarsi dietro un po’ di cose
Dire addio per affrontare le sempre attese novità
Dire addio e basta
Perché sai che il tuo tempo qui è scaduto
Perché non hai altro da aggiungere
Perché il tuo corpo si slancia al tramonto, lungo un’ ombra che precede il passo
E sembra già l’alba
Alzati il bavero e cammina finché qualcosa catturi la tua attenzione
Riparati il respiro dall’umidità e apri bene gli occhi
Finché qualcosa di nuovo meriti davvero una sosta
Non dire che non puoi staccare la spina
Che non puoi uscire dalla fila
Che non potresti mai abbandonare le tue abitudini
Non dire altro
Non dire che non c’è niente da perdere se poi ti senti male..oppure ti strugge il fatto di non averci guadagnato nulla?
Dire addio senza una parola e senza motivo
Non dare spiegazioni
Non stai fuggendo…stai solo andando dove dovresti già essere

sabato 17 maggio 2008

Bang Bang ( My baby shoot me down )



I was five and he was six
We rode on horses made of sticks
He wore black and I wore white
He would always win the fight

Bang bang, he shot me down
Bang bang, I hit the ground
Bang bang, that awful sound
Bang bang, my baby shot me down

Seasons came and changed the time
When I grew up, I called him mine
He would always laugh and say
"Remember when we used to play?"

Bang bang, I shot you down
Bang bang, you hit the ground
Bang bang, that awful sound
Bang bang, I used to shoot you down

Music played and people sang
Just for me the church bells rang

Now he's gone. I don't know why
And till this day, sometimes I cry
He didn't even say goodbye
He didn't take the time to lie

Bang bang, he shot me down
Bang bang, I hit the ground
Bang bang, that awful sound
Bang bang, my baby shot me down


( Nancy Sinatra / How does that grab you? 1966 )


A voce bassa, molto bassa, con fredda lentezza prepari il tuo piombo cortese, mentre io abbandono la mia ultima sigaretta. La metto sotto il piede vicino al cuore, e poi schiaccio.
Che schifo!
Tu non hai visto nulla, ma io ti vedo caricare, con armonia. La tua grazia discreta se ne va un attimo mentre aspetta un cenno di consenso. Torna basso il capo e fai girare il tamburo.
Uno
Due
Crick !
Non aspettare!
Non aspettare ancora…carica…e spara…
Non riesco a guardarti in volto
Quel volto è il mio
Non riesco a guardarti le mani
Quelle mani si muovono come le mie
Ma ora che si muovono fanno paura
Sembrano gentili ma fanno male
Appendili pure al vento questi attimi
Come piume sul petto trafitte da grossi spilli
Appendili pure al vento i miei occhi, le miei mani, il mio pensiero, e mentre se li porta via, nel momento che se ne fuggono di lato spara! Spara! Che nulla di me già rimane nel cader a terra. Niente di me che si possa ricordare. Niente di me che possa valere qualcosa.
Spara!
Spara il tuo piombo dorato sul mio mercurio sanguinante!
Niente di me tranne un peso inutile
Niente di me ai tuoi piedi

mercoledì 14 maggio 2008

Un filo rosso

Ieri ho aperto una scatola rossa, pensando di trovarci dei ricordi, molti ricordi, ma non ho ricordato molto. Non mi sono sforzato più di tanto e non sapevo come sentirmi. Ho messo su un disco rosso e le tracce erano vuote. La scatola e il disco mi eccitavano, ma niente a parte il rosso hanno colpito la mia attenzione. Buono o brutto doveva essere un segno.
Tutto rosso sul pavimento del bagno, appena tornato da un funerale, un grosso mal di testa e la mia testa nell’acqua. Credo anch’essa di color rosso.
Che peccato aveva un cancro! Io mi sono sentito male molto tempo dopo, appena ho cominciato a galleggiare. Credo che ci fossero voci intorno molto forti, delle grida, ma dalla mia bolla non è uscita nemmeno una parola comprensibile. All’improvviso è scoppiata pure una bomba in aria e allora ho avuto un po’ di paura. Paura di chiedere dove andiamo.
Venite! Venite! Abbiamo dell’ottimo cibo precotto! Ottimo cibo da ospedale.
Ma io non avevo capito ancora bene la direzione e sono rimasto nella mia bolla.
Tutto bene! Tutto bene! Ne posso avere un’altra? Grazie..
Non è per niente apposto ma c’è chi prova…
Oddio! Dovresti provare! Si..dovresti provare..
Ah si…proprio un bel funerale, ma la vita va avanti e domani abbiamo una nuova città. Si, che bello! Una nuova città. Spero solo che il monello la finisca di fare il saputo sotto la luna! Che ne sa lui della mia giornata, della mia schiena, della mia anima chiusa in quattro righe, del mio odio, del mio lungo inverno, del mio sciroppo amaro. Ecco, abbiamo una nuova città, anche se non c’è stato il tempo di salutarsi a dovere. Abbiamo solo una nuova città dove sostare un po’, senza nemmeno guardare l’orizzonte che, purtroppo, non sa più di infinito.
Oggi ho fatto 300 chilometri per arrivare fino a qui. 300 chilometri senza dare molta attenzione al paesaggio. 300 chilometri tutti lisci. Ma qualcosa sono riuscito a vedere. Dovrò pure scrivere qualcosa, un appunto, un’idea, una promemoria..che ne so, una promessa per ritornare, anche se poi… chissà quando torno…
Ho fatto 300 chilometri mentre a te ti sono bastati 3 metri. Che strana la vita! Ho sentito ancora un colpo! In aria! Spero non sia una bomba..eccone ancora uno!
Quante luci! Tutte rosse! Arrivano fino all’altro capo della strada. Che spettacolo!
E così ci siamo messi la giacca e la cravatta, la nostra brava camicia bianca e dei formalismi all’occhiello. Ma senza esagerare.
Non voglio giudicare ma i tuoi punti forza che fine hanno fatto? Nulla. Sono sempre lì, ma per certe cose non rendono. Bisogna essere più formali. Nient’altro.
Giusto.
Giustissimo.
C’è un filo…penzolante. Spero sia a se. Spero sia in più..
Che bel colore il rosso, non trovi?
Si।
Dipende che funzione ha.


Domani tutti avranno dimenticato.

domenica 4 maggio 2008

Right as rain























I'm a saint by name
I had a friend called 'generous Bilby'
He was a saint by name
His only vice was that he died
while I did a little dance
From dust to dust the preacher sighted
I did a little cry

I'm a drunk by name
Last there at long
It's not fair to blame me, for not believing what I saw
My only vice was that I danced in the shiny white shirt
He should have known
I'd be the last, to be there first

Right as rain

Tombstone and the damage done
how beautiful the naked skin
how beautiful it glows
This is where the bleeding stops
and this is what it shows
It has turned into a scar, the same
just the same, the same, the same

And anyway
This is where the sane will park
his foot upon your toes

I'm a man by name
Had a friend called 'deadly Bilby'
but he slipped away

And he said:
"pour me out some whiskey man,
there's something you should know.
The person that you take me for,
was buried long ago..."

Right as rain

Tombstone and the damage done
how beautiful the poetry
how beautiful the prose
This is where the story ends
and this is where it goes
It just turned into an alibi for a song

But anyway
This is where the sane will park
his foot upon your toes

( dEUS / Worst Case Scenario 1994 )



Sono davvero vivo
Lo so
Sono davvero già morto
Lo so bene
Sono già morto tante volte che vivere è come risorgere
Anche se per poco

Lo so

E tutto si ripropone all’infinito
Sono davvero morto oltre questi numeri
E ogni volta risorgere è bellissimo
E i santi fanno il loro dovere
Cadono sempre nel peccato, affondano le mani nel costato della grazia ma prima si godono l’inferno
Ancora non sanno di essere dei santi, ancora non sanno che dovranno cambiare il proprio nome
Perché dovranno dannarsi bene bene prima di arrivare all’illuminazione
Perché la terra dovrà creparsi al sole e sputare rettili urlanti prima che possano dire “ ascolto ”
Perché la sabbia dovrà bruciare nei loro occhi prima che possano vedere bene
Perché dovranno imparare a dare i nomi giusti alle cose prima di parlare
Allora non resterà che una giravolta nella polvere prima che venga a piovere per sempre
Polvere alla polvere, sollevata in aria da un calcio ribelle
Polvere alla polvere
Polvere alla pioggia
Pioggia alla pioggia
Una due centomila gocce e ancor di più, senza possibilità di contarle, cadono giù e cambiano il mondo sopra e sotto i tuoi piedi inzaccherati
Adesso,
piove così bene,
che non vuole smettere
Piove così bene che non deve smettere
Quello che c’era non c’è più, e quello che c’è è una realtà rilevata solo ai tuoi occhi
Come in una bolla, come in una camera oscura, come in apnea
I più scappano per non annegare, alcuni rimangono sotto i portoni, io sono solo una striscia che parte dalle sopracciglia e arriva a stento sulla punta del naso. Sono solo una striscia con due occhi e un respiro silenzioso, mentre cadono perle d’argento per lavare il mercurio che normalmente ci copre
Piove così bene che non vuole smettere
Piove così bene che non deve smettere
E tutto si ripropone all’infinito
Come se il tempo valesse solo per gli altri
Ecco dove sono morto
E se guardi un po’ più in là vedi da dove sono ritornato
È stupenda quest’acqua che non si cura di nessuno
Che cade e non ci vuole lasciare
Che s’affonda nella casacca e scende per il collo della tua t-shirt
Piove così bene che sembra proteggerci, mentre ci tira fuori dalle viscere il colore della nostra anima
Piove così bene che non vuole smettere, che non c’è bisogno di trovare un altro posto, che fa andare via i codardi, che un giorno saranno santi e beati
Piove così bene che non mi voglio proprio muovere, che non riesco nemmeno a descrivere com’è esserci dentro e quanto fa male uscirne
Piove così bene che non deve smettere
Piove così bene che mi sento giusto
Giusto come la pioggia
Che mi sento come la pioggia
Così bene
Così bene che non so se e quando abbia smesso
Per voi

sabato 3 maggio 2008

Filomena Pennacchio

giovedì 1 maggio 2008

Tutti pazzi per Consiglio!


Destra! Sinistra! Centro!
Quando non sai dove andare buttati al centro, nella mischia, altrimenti rimani fermo e aspetta. Me ne sono stato buono una vita, fuori dalla mischia, sempre lì ad aspettare la fine della giornata, ad aspettare il mio primo caffè al bar, l’ultima sigaretta prima di comprare un pacchetto nuovo, nuovissimo, che ti rassicura con la sua forma perfetta e il suo contenuto pieno. Me ne sono sempre fregato di mettermi in mezzo a cose più grosse di me, anche perché un po’ tutto sembrava abbastanza più grande di me. Alla mia portata rimaneva poco, sempre più poco, finché mi sono convinto che era troppo poco anche per me. Questo è quel che penso ma non dico, da buon taciturno…

Amici siamo stufi dell’essere messi da parte.
Il nostro è l’unico voto utile per le nostre libertà!
Votate e fate votare il nostro amatissimo Consiglio!

In questa vita tutto è precario.
Il lavoro è precario, l’amore è precario, l’amicizia è precaria, la stabilità è precaria, la vita tutta lo è.
Ho cominciato a lavorare il legno molti anni fa. Il legno è il mio elemento. Le vecchie macchine che lo tagliano la mia tecnologia, il mio ferro a controllo numerico, il controllo sulla materia che mi ha dato il pane. Adesso si tratta di lavorare le menti. Come penso sia stata lavorata la mia. La mia mente quasi analfabeta, la mia mente ignorante, la mia mente sicura di se con le sue piccole certezze, anche se non ne sono stato certo fino in fondo.
La mia mente è precaria.


Basta con il lavoro interinale!
Abbiamo bisogno di stabilità!
Abbiamo bisogno di una riforma scolastica!
Di una Università che dia formazione!
Più spazio alla ricerca!
Il nostro è l’unico voto utile per la crescita del Paese!

Senza mai una crisi. Perché le crisi portano cambiamenti e io non ho mai voluto cambiare. Non è che mi piacevo poi così tanto, ma in fondo perché cambiare? Perché rischiare?
Crisi e opportunità.
Crisi e azzardo, con buone probabilità di perdere tutto. Tutto è quel poco che si ha. E a me bastava una birra dopo il lavoro per evitare sciocchezze del genere.


Dobbiamo superare la crisi. Con il vostro voto ce la possiamo fare.
Uniti per un obbiettivo comune. Tutti insieme.

Senza mai inseguire un sogno. Sempre con i piedi per terra nelle mie scarpe col puntale di ferro. Non ricordo mai nemmeno i sogni che si possono fare di notte. La mattina non esistevo per almeno un’ora. Solo dopo la quinta sigaretta e il terzo caffè ero cosciente. Ed ero già al lavoro.
Ecco! Li vedo sognare davanti a me. Che non ho mai sognato nemmeno questo che forse è un incubo. Li vedo sorridere. Prestare attenzione al palco. Li vedo colorarsi di bandiere e vociare speranze. Urlano slogan e cantano canzoni. Vengono in massa e perdono tempo invece di trovarsi un impiego. Lavorano per le nuove bandiere. Il lavoro è perdita di tempo ma almeno possono dire di averlo occupato per un po’. Qualcuno riesce pure a crederci.


I nostri sogni sono la nostra speranza.
I vostri sogni sono il nostro impegno.
Voi siete la speranza.

Quante cazzate riusciamo a dire senza essere censurati. E pensare che io non parlavo mai proprio per evitare di dire stupidità. Parlavo solo quando ero sicuro. E adesso sono tutti contenti se dico porcherie abominevoli. Il peggio è che io lo so e loro lo sanno. Ma siamo riusciti a far scomparire l’imbarazzo dalle nostre facce stuccate.
Il nostro… è l’unico voto inutile.

sabato 26 aprile 2008

Banana Republic

venerdì 25 aprile 2008

Con le mani nella marmellata


Pensi di rimanere solo, di esserti guadagnato il tuo pezzo di libertà, di poter mettere il bene e il male, il bello e il brutto della tua vita nella traiettoria del tuo yo-yo, per giocarci un po’. Come una simpatica canaglia; criminale ma per poco, criminale ma non cattivo, simpatico e svezzato, col sorriso triste e la smorfia strappa baci. Te li ritagli bene i tuoi momenti. Poi li cuci e li indossi come un Arlecchino felice di avere tanti colori, ma soprattutto felice di aver qualcosa addosso che ti assomiglia. E non te lo leva nessuno quel sorriso, quella smorfia, quando hai le mani nella marmellata; neanche quando ti scoprono. Troppo felice per la gioia per preoccuparsi di giustificarsi. Troppo sporco di marmellata per nascondere il tuo piacere. Per miracolo il tuo mercurio brilla alla luna come argento. Come se l’olio per motori servisse per dipingere…
Troppo contento, che solo a guardarti viene da sorrrdere.
C’è chi si rivolge alle stelle mentre tu stai bene attento a cosa ti succede attorno e non ti curi dei sogni.
L'attenzione poi ritorna su di te e si possono vedere tutti quei piccoli sogni a terra, sporchi di marmellata.
E allora cosa fare. Ci si sente assolti, piccole canaglie, che non siamo altro. E in realtà non è male essere criminali ma simpatici, criminali si…ma per poco. Perché smettere di strofinarsi il velluto addosso. Perché smettere di giocare, anche se il gioco è pericoloso e il rischio è il gioco di per se.
Si ha qualcosa solo nel momento in cui sei tutt’uno con quella cosa. Il momento della conquista. Il momento della simbiosi.
Perché vi rattristate..
Perché andate di fretta..

giovedì 24 aprile 2008

Mezzafata


Camminano come solo gli stupidi possono, vanno di fretta e non sanno dove andare, suonano i loro stracci addobbati con spille e ferretti, battono grossi scarponi sulla strada bagnata, prendono appuntamenti che odiano da subito, cercano di perdere tempo, e poi ricominciano ad affannarsi, suonano malamente i loro corpi tra di loro e diventano folla, chiedono, chiedono, chiedono sempre e non sanno rispondere a nessuna domanda, così si inventano ruoli importanti, indossano tutti una maschera e mettono una mano che punta in basso dietro la schiena e girano tra loro, intorno a se stessi, intorno agli alberi, i fuochi, e si fermano sotto porticati come per decidere qualcosa di importante. Poi uno scatto li riporta in strada, richiamati alla confusione per non chiedersi cos’è che li fa andare…e allora via, continuano a girare su se stessi, a suonare le loro carcasse fumanti fino al collasso!
Come uno stupido mi trascino avanti, e quasi divento sordo per non ascoltare…
Come uno stupido perdo le mie domande e ti trovo in mezzo al frastuono, sospesa a mezz’aria nel tuo bianco cemento, che ti protegge e ti spoglia di vita….
Non dici una parola e guardi lontano, con due occhi grossi e neri, più grossi di quanto dovrebbero e più splendenti di quanto si possa immaginare.
Tu, con un velo e nulla più…
Si potrebbe anche piangere, oppure sorridere.
Oppure non fare proprio nulla.

L’occhio perso in una vertigine di luce sfocata
Cerca di aggrapparsi alla realtà
Ma trema per un brivido di una immagine lontana
Vivo ricordo indelebile senza controllo

mercoledì 19 marzo 2008

L’uomo di latta

Sono sfinito, sono vuoto, torno qui perché devo tornare e ogni volta che torno la stanza rimbomba di bianco e di freddo, come un deserto di ghiaccio incapsulato in un moderno cemento asettico, appena sterilizzato dalla vita che si chiude con la porta. Qualcuno aspetta ma io non ce la faccio. Mi siedo accasciando il mio corpo stremato su un cubo che esce come un errore dal muro. Mi siedo perché mi devo sedere, e i miei occhi verde blu stemperati dall’angoscia, quasi vitrei, rimangono spalancati, immobili come in una fotografia, nell’ attimo prima dello sparo, nell’attimo stesso dello sparo, e guardano il nulla senza commentare…
Vedi? Vedi come si può diventare ? Cosa ti può fare la vita? Nemmeno l’orso parla più con me…si limita a guardarmi. Io invece non ho occhi nemmeno per lui. So dov’è e cosa fa. Lo sento. Sento l’aria che muove intorno, perché di me rimane solo una corazza. E nella mia corazza c’è solo aria, e trema al passaggio, trema con i movimenti e tremo anch’io, cigolante.
Sono sfinito, sono vuoto, rimango impassibile e calmo, e penso che ci sei tu dietro quella parete, e che fra poco dovrò venire da te. Intanto evito che tu possa aprire la porta, che la vita fuori ti può uccidere con un virus, e tu sei troppo candida e fragile per uscire. Ho provato a riempirmi di paglia, e in modo maldestro ne esce un po’ dal collo di metallo, come spine d’oro ossidato, come un vezzo, che mi fa sembrare ancora più buffo, perché fuori la tristezza fa tanto ridere, perché fuori i comici sono tristi e fanno battute tristi e cattive…
Sono stanco, sono vuoto, rimango impassibile e calmo, e adesso mi tocca di alzarmi. Mi alzo perché mi devo alzare, perché se mi alzo ha un senso. Ha un senso questa normalità, ha un senso venire da te, ha un senso muoversi e dietro di me viene anche l’orso, deciso come sempre. L’orso, a cui non ho mai chiesto la ragione della nostra convivenza. Forse si sente anche lui guardiano dell’unica cosa pura che esiste. L’unica cosa per cui vale la pena di tornare. E anche tu non sei nessuno. E non sei di nessuno. E forse è questo il segreto del tuo cosmo.

lunedì 10 marzo 2008

Muto come un orso


Torri di cd pendenti, sempre in bilico tra entrare nel lettore o cadere a terra. Babeli soniche senza ordine che non si sforzano di mostrare ricordi e storie, che stanno sempre lì e si alzano in alto fino all’ incomodo, fino a sfidare l’occhio ormai seccato di osservatori troppo attenti all’ordine. Indipendenti con vita propria si alzano, s’abbassano, si formano e scivolano su se stesse, mentre l’orso cammina su due gambe, grosso e silenzioso, con il corpo di pietra e la pelle amaranto, lucida e consistente.
Due occhi immobili e veloci nel pensiero. Un silenzio che non si rompe quasi mai dalla sua bocca mentre una musica riempie la stanza, la strada e pure le distanze.
Ne buono ne cattivo.
Ne buono ne cattivo all’apparenza.
Solo un orso dall’aspetto sicuro, talmente sicuro che si teme chiedergli il nome o il perché, che ti guarda e non ti fissa. Così grosso che ci si sente inquieti e sicuri allo stesso tempo.
Tutto al posto giusto mentre si disordina.
Tutto al posto giusto mentre si accumula.
Tutti in fila mentre si scopre che nessuno rispetta la fila.
Tutto ok finché arriva l’orso.
Tutto ok, è arrivato ed è tutto ok.
Tutto ok quando ti passa avanti.
Tutto ok quando si chiude da qualche parte e va in letargo.
Tutto ok, anche se hai l’amaro in bocca e vorresti capire di più.
Chiedere qualcosa.
La gente ha paura e l’orso lo sa.
La gente non chiede e l’orso non se ne cura.
La gente…
Ne buona ne cattiva.
Ne buona ne cattiva all’apparenza.
C’è sempre chi morde per fame e chi morde per paura.

venerdì 7 marzo 2008

Par Condicio


martedì 12 febbraio 2008

Al mondo















Per caso, solo per una casualità, per una combinazione.
Boom!
Vuoi aprire il cielo e afferrare un dio o una stella.
Boom!
Ti puoi perdere in una tonalità di blu senza trovare nulla.
Boom!
Quasi per caso capisci che qualcosa ti trasporta, comunque.
E allora ti consumi le gambe e i piedi, le mani e i pensieri.
Quello che trovi ha un’anima, e se togli l’anima non rimane nulla, proprio nulla.
È solo un caso
È solo caos
E l’armonia dura poco e bisogna tenersela stretta
Caos
E si perdono le strade, le parole dette per davvero sono restituite male, e cosa puoi chiedere?
Niente! Aspetti un’intuizione…oltre la noia.
Parole in disuso per cose che stanno bene scritte sui vocabolari.
Meritocrazia, giustizia, amore, legalità, sincerità, onestà, coerenza, fede, purezza…fanno imbarazzo solo a leggerle, figurarsi dirle o solo pensarle. Roba da stupidi!
Cosa si può chiedere?
Forse solo essere più furbi…

Io non chiedo proprio niente.
E se ho chiesto ho chiesto male, o non era il momento…

Al mondo
Demagogicamente tuo
Uno che non si illude e non si arrende