domenica 22 novembre 2009

Departures / Arrivals


Questa vita è un viaggio. Banale dirlo, meno banale avventurarsi. È un viaggio obbligatorio. Sei già sopra. Sei già salito. L’unica libertà concessa è cercare di scegliere l’itinerario. Qualche fermata. Una sosta. Tentare di chiedere un passaggio. La materia e le sue anime. Gli intrecci, gli sguardi rubati, i sorrisi dei mai più. Ma è una mezza libertà. Per lo più il destino e il caso decidono chi e dove. A noi rimangono solo i perché.
Partono i vecchi schermi, quelli che si perdevano in un nero misterioso di un freddo MS-DOS, quelli della TV analogica, con l’antennina da regolare a mano, con la manopola che prima o poi si rompe sempre, con le forme bombate e pochi pollici ma sufficienti. Arriva la nuova tecnologia sempre più sensibile che nemmeno ti puoi permettere di sfiorare sennò si prende un virus e buonanotte al secchio!
Partono i missionari del lavoro per terre lontane, per una speranza, per un invito clandestino alla felicità. Partono e sognano un sogno collettivo mal pagato. Partono e non ritornano più. Arrivano i nuovi sognatori, tutti sporchi e maledetti. Arrivano e affollano le metropolitane, i treni e le stazioni, i sotterranei e le notti brave. Arrivano e non riconosciamo loro nessun sogno collettivo.
Partono i tir di notte per le autostrade, con le occhiaie malconce, la barba trascurata e i sorrisi color caffé. Partono in una nuvola di nicotina e sfidano il loro record d’insonnia. Arrivano le signore al supermercato. Arrivano presto e vogliono che sia tutto lì. A disposizione. Fresco e conveniente. Arrivano presto e passano ore nel decidere, pur credendo di sapere quello che vogliono. Finalmente arrivano anche alla cassa che parla con i bip e che ha lo sguardo apatico e stanco, peggio di chi fa la fila.
Partono i politici per rappresentare un Paese e i suoi interessi. Gli interessi di pochi. Partono per ambasciate con belle parole di democrazia e cravatte e giacche sempre nuove. Arrivano in patria con trionfi industriali e finto orgoglio nazionale. Arrivano e devono combattere con la giustizia. Nessuno è profeta in patria perché la patria non ha bisogno di profeti ma di giustizia.
Partono i fogli della burocrazia, verso scatoloni e archivi impolverati. Partono e rimangono sospesi nel dimenticatoio, pronti a riemergere come bombe abbandonate di una guerra già trascorsa. Pronti a tornare come incubi dimenticati e lontani. Arrivano le multe da pagare, gli errori degli impiegati, dei tecnici distratti. Arrivano gli scempi dei contratti firmati con i soldi pubblici. Arrivano senza responsabilità, tanto paga il contribuente. Salviamo l’azienda. Salviamo la fabbrica. Salviamo l’aeroporto. Salviamoci il culo. Si salvi chi può!
Partono l’etica, la morale, il lieto fine, l’amore eterno e vissero tutti felici e godenti. Arrivano i volti rifatti, le vecchie glorie, ritornano gli amarcord, il senso della stabilità, tutti stipati nelle nostre piccole gabbie dorate, come canarini che muoiono di solitudine. Avere le ali e non poterle usare. Avere le ali e avere la paura di volare. Il viaggio è finito. Il viaggio finisce con la paura. Con la noia. Partire, arrivare. Arrivare ma non fermarsi. Partire come morire. Morire solo per un po’. Arrivare e avere la voglia di morire un altro po’, ma altrove.
Cosa fare?
Cosa pensare?
Cosa augurarsi per la vita?
La cosa più bella che ho da dire è buon viaggio.

1 commento:

maielvin ha detto...

"...Cvava sero po tute (poserò la testa sulla tua spalla)
i kerava (e farò)
jek sano ot mon (un sogno di mare)
i taha jek iak kon kasta (e domani un fuoco di legna)
vasu ti baro nebo (perché l'aria azzurra)
avi ker (diventi casa)

Kon ovla so mutavla (chi sarà a raccontare)
kon ovla (chi sarà)
ovla kon ascovi (sarà chi rimane)
me gava palan ladi (io seguirò questo migrare)
me gava (seguirò)
palan bura ot croiuti (questa corrente di ali)"

(F. De Andrè, Khorakhanè)

ps: bel post e bella foto.