domenica 2 gennaio 2011

Piccola prova informale


Essere sinceri è una prova di coraggio. È una sfida quotidiana verso se stessi e contro tutto. Essere sinceri alla luce del giorno è pericoloso e ti può capitare di fare grossi sbagli, di mettere tutto in discussione, anche solo per un momento di egoismo, per una fortuna esile ed effimera, per qualche spicciolo, per un bacio rubato, per una carezza caduta male, per un attimo di incomprensione.
Si consiglia di non indossare camicie blu, di nessun tipo di blu, di qualsiasi tonalità del blu.
Essere sinceri al buio sembra più facile e poi non ti vede nessuno. Essere sinceri al buio sembra più facile ma non ti vede nessuno. Non ci sono pericolo né soddisfazione. Essere sinceri al buio potrebbe risultare inutile ma anche altrettanto vitale.
Mai mandare fiori anonimi. Mai mandare pacchi bomba anonimi. Firmarsi sempre. In nessun caso, mai prima il cognome del nome, sia a voce che scritto.
Bisogna anche saper rubare ed io non ci riesco. Mi sento male se quello che rubo non mi appartiene, se quello che rubo non fa parte della mia dimensione. Diventa un qualcosa tolto a qualcun altro ma non diventa mio e questo mi fa sentire un ladro. Mi capita spesso di rubare senza sentirmi male e questo vuol dire che potevo farlo. In qualche modo mi sento legittimato dal fatto che potevo prendere qualcosa di mio ma che solo un attimo prima non sapevo mi appartenesse. Rubare in compagnia poi è il massimo. Qualcuno potrebbe parlare di condividere, di spartirsi quello che il destino ti offre, qualche mistico parlerebbe di comunione o di dono di Dio o roba del genere.
Rubare è come ricevere o fare regali e i regali sbagliati fanno sempre male.
Sorrisi, gentilezze e qualche complimento per farsi voler bene. Essere gentili, apprezzare tutto quello che si vede e darne sempre giudizi positivi. Rubare simpatia è una buona regola per essere falsi, ipocriti e felici.
Sto al buio nel giorno del Signore e non vedo nessun Signore, non ho voglia di chiamare nessuno né tanto meno di essere raggiunto. Non ci sono idee in programma, non si aspettano miracoli, non si fanno promesse e non c’è nessuno da convincere. Non dico niente nemmeno a me stesso. Mi è venuta solo un po’ di fame e ho mangiato da tre ore. È un pomeriggio buio e sono solo in casa ed ho fame. Cammino senza accendere le luci spinto da questa strana voglia, inaspettata ma ben accetta. Perché dire di no? Perché frenarsi? Perché non essere sinceri anche per così poco?
A tavola, mai dire "Buon Appetito".
Apro il frigo e si fa luce. Lo guardo con poca attenzione e scelgo degli affettati in vaschetta che nemmeno li preferisco, ma va bene così.
Ho scelto la vaschetta degli affettati, dal frigo la porto sul piano della cucina. Accendo la piccola luce della cappa, apro lo sportello del pane che sta in alto, mi faccio spazio con le mani nella grossa busta di carta e ne trovo un pezzo già tagliato, lo spezzo con le mani, una parte la lascio lì con lo sportello aperto, l’altra la mordo, poi faccio a brandelli la carne salata e mangio chino e in silenzio. Riprendo l’altro pezzo di pane e altri brandelli di affettato fino a terminare la vaschetta. Torno al frigo, ho sete e svuoto quello che rimane della bottiglia di vino rosso. Mi guardo attorno e nel buio pulisco le labbra con un gesto del palmo terminando il pasto come una piccola prova d’informalità. Alla luce sarei apparso come un animale, indecentemente sincero e poco gradevole, sicuramente non educato.
Evitare suoni o rumori sgradevoli, niente fumi, niente profumi, niente grida o toni altezzosi. Niente musica. Non si canticchia e non si fischia. Evitare modi e usi troppo personali. Mai eccedere con la freddezza però, almeno prima del rigor morti.
Riguardo nel buio e un chissenefrega mi strappa una smorfia di felicità. Apro un’altra bottiglia di buon vino rosso, mi verso un bicchiere e torno in camera, molto meglio dell’ultima cena senza parabole, miracoli e traditori a cui passare il sale.

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