sabato 19 febbraio 2011

Crazy Farm


Sono circondato da folle di brutti gallinacci, striduli e inopportuni, con i becchi sempre pronti a dire la propria insulsa opinione, il loro punto di vista, la loro scienza teorica. Sempre pronti a lanciarsi sulle briciole e ad andare avanti e indietro senza motivo, con la testa gonfia e vuota come palloncini di gomma, gli occhi sgranati e sospesi nel niente. Facce da tacchino dai colli slabbrati e paonazzi, balbuzienti col singhiozzo che pretendono attenzione sempre indecisi sul da farsi, e quando decidono, sputano parole con convinzione ma non finiscono mai bene la frase e con un altro singhiozzo rimangono interdetti sicuri dell’errore. Sono circondato da grassi pennuti incapaci di volare, che sognano ad occhi aperti, che parlano di voli aggraziati e virtuosi ma l’unica cosa che sanno fare è sporcarsi il basso ventre di fango e sterco. La scala di un pollaio come la metafora della vita, il letto dei maiali come la metafora della notte, lo steccato della fattoria come la metafora della libertà mai assaporata. Spunta il sole e irradia l’aia umida, disordinata e maleodorante. È l’ora della colazione e d’improvviso una calca di stupidi animali affamati si tira fuori dai propri giacigli asfissianti, cavalli zoppi che non faranno mai una corsa ormai buoni per il macello, maiali impazziti che s’ingrassano ben bene e non sanno che le cure del padrone sono la loro dolce condanna a morte. Ridono ed esultano felici a ogni pasto, corrono a spaccarsi il muso nella loro sbobba, un giorno correranno fuori dopo il digiuno ma solo per saldare il conto con chi gli ha mostrato cura e affetto.
Il benessere e la fortuna possono essere condizioni illusorie e alla fine, al di là della stagnante comodità dell’inerzia, si dovrà pagare un prezzo insostenibile e inaspettato.

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