sabato 30 giugno 2007

21:20

Il giorno se ne va liscio. Abbiamo festeggiato attese, soddisfazione e promesse per il futuro; intravisto aloni di incomprensioni un po’ lontano, nascoste implicitamente sotto sopracciglia stanche e insonni. Il giorno se ne va liscio.
Io vado via.
Torno a casa.
Prendo la metropolitana che sa di frigo rotto, sporco e affollato di cose inutili. Prendo la metropolitana e torno in stazione. Salgo sul mio pullman scomodo che non ha indicazioni sulla tabella, allora chiedo dove porta. Mi siedo in fondo e chiedo di nuovo.
Un ragazzo mi guarda stupito però mi conferma la destinazione. Non sembra sicuro, non della risposta che da, anche se giusta, più che altro di se.
Ha lo sguardo di un piccolo animale, come una faina, un po’ spaventato e in ansia per qualcosa. Come se lo avessi beccato nella tana, lì, in fondo al pullman. Poi noto un certo disordine sui sedili tra me e lui; sigarette e altre cose, non ricordo di aver focalizzato bene ma qualcosa non va.
Non va per nulla.
Il ragazzo cerca di farsi un buco al braccio sinistro, ma ancora non ci credo. Osservo bene ed è così.
Lui però è infastidito o per lo meno sembra avere vergogna; anzi, si preoccupa della mia vergogna penso, del mio giudizio o reazione.
Lui ha paura e io cerco di non averla.
Penso di non essermi detto stai attento o di essere entrato in panico. Ho pensato “ si farà la sua dose e poi si tranquillizzerà …non gli conviene far casini”
Ho pensato pure “ e se punta la siringa infetta?...impossibile… ci sono almeno trenta passeggeri e penso che abbia più timore lui di essere scoperto, e poi sono pronto…se si muove lo respingo a dovere, ma non si muoverà; se poi prova a seguirmi?
Sono calmo, strano, non ho paura, penso solo ai suoi possibili movimenti.
Strano non aver paura ma è così. Sento solo un grande senso di sdegno, sono infastidito e mi fa pena vederlo lì a un metro da me a farsi un buco.
Cerca di nascondersi come un bambino…ma l’innocenza non sembra esser salita con noi.
Poi passa avanti di un posto e continua il suo lavoro.
Forse non riesce a prendere la vena. La mano destra trema e spinge, e fa male pure a me. Sento appena la siringa che mi punge sul braccio.
Il silenzio della scena è protetto dal mormorio dei passeggeri…ignari.
Il pullman parte ma fa subito una fermata prendendo altre persone. Si avvicina un signore sulla cinquantina, vestito come un impiegato della compagnia di trasporti. Giacca e cravatta blu, camicia bianca con strisce sul celeste e fronte asciutta. Si sfila la giacca sicuro di sedersi ma ci ripensa.
È sbigottito dalla scena. Fa subito a girarsi e trovare un posto davanti a me, sul lato destro senza dare nell’occhio, per non destare reazioni nel ragazzo seduto subito a sinistra.
Mi guarda fisso come a dirmi “ Hai visto? ”
“ Guarda! Guarda cosa sta facendo! Che faccio? Che facciamo? Non dici nulla!? Ma non vedi!? ”
Io gli rispondo con uno sguardo un po’ indifferente.
Ho pensato già a tutto, ho pensato pure troppo, sono tranquillo, e passato pure lo stupore, lo sdegno no.
Mi guarda tremante, come a dirmi “ ma che succede? È come avere mio figlio a fianco e vederlo iniettarsi merda nelle vene! Io ho una vita tranquilla. Voglio tornare a casa dalla mia famiglia.
Ho paura.
Il mio sguardo indifferente gli dice un po’ che non succede nulla, coglione! Stai zitto e siediti. Stai tranquillo. Non agitarti e non mi guardare. Che vuoi da me? Non posso farci nulla, e meno facciamo meglio è per noi, per tutti. Non guardare deficiente. Siediti…
Pure a me dispiace la cosa ma non credo di avere la possibilità di fare altro. E non mi sento in colpa per questo. Con tutti i buoni principi che posso avere, non credo che adesso si possa fare molto.
È un drogato che si fa un buco sul pullman.
Anzi è un ragazzo disperato con una siringa in mano.
Mi fa schifo e non lo accetto, ma rimango per i fatti miei. Lui ha più problemi di me penso, e io non ne voglio altri. Non faccio l’assistente sociale, né l’eroe, e non ho sensi di colpa.
Il signore si siede preoccupato ma controlla il corpo con un certo rigore. Ogni tanto guarda, si volta sulla sinistra, poi guarda solo avanti.
Ogni tanto guardo pure io e il ragazzo sembra faccia lo stesso verso di me.
Osservo il suo braccio destro pieno di buchi, di strisce in rilievo come tagli, rosso sangue coagulato, come se avesse ancora gli aghi sotto pelle.
La scena fa rabbia e senso.
Andiamo avanti sull’autostrada, il sole illumina ancora ma il tramonto è vicino. Guardo dal finestrino le case, il verde ingiallito dei campi, l’azzurro che da sul grigio dell’orizzonte, all’improvviso un cimitero di macchine abusivo, ruggine e solitudine; escono dall’erba come teschi vuoti e senza idee, senza più ricordi, senza piloti e meccanici, si lasciano andare, verso la distruzione…come lui, proprio come lui…
Sono stanco e volevo riposarmi un po’ lungo il viaggio, avevo messo pure la sveglia sul cellulare, ma non mi sembra più il caso.
Devo stare sveglio e attento, non si sa mai…vinco il sonno e osservo. Un tizio al mio fianco sta usando un computer portatile, sembra non essersi accorto di nulla, oppure ha visto ma come è logico fa finta di niente.
Mi annoio.
Non ho nulla ne da leggere ne da ascoltare, si è fatto buio e la stanchezza si fa sentire.
Decido di dormire un po’.
Riapro gli occhi quando ormai siamo arrivati in città.
La mia fermata è la penultima, a tre minuti dal capolinea. Forse sono entrato un po’ in paranoia. Decido di alzarmi alla fine per non sostare in piedi nel corridoio, e soprattutto per non dare le spalle al ragazzo. In fondo meglio essere un po’ prudenti…
Scendo.
Attraverso la strada e mi accendo una sigaretta.
Il bus entra in curva ed io da sotto i portici do un’occhiata al ragazzo. Forse è in pieno sballo.
Proseguo. In città non si vede molta gente.
Mi avvicino alla macchina. Suona la sveglia sul mio telefonino.
Sono le 21:20
Ho fame e sonno.
Domani è un altro giorno.
Per tutti.

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