mercoledì 14 gennaio 2009

The garden



And he was walking in the garden
And he was walking in the night
And he was singing a sad love song
And he was praying for his life

And the stars came out around him
He was thinking of his sins
And he's looking at his song-bird
And he's looking at his wings

There, inside the garden
Came another with his lips
Said "won't you come and be my lover ?"
"Let me give you a little kiss"

And he came knelt down before him
And fell upon his knees
"I will give you gold and mountains
If you stay a while with me"

And there was trouble
Taking place
Trouble
Taking place

There, inside the garden
They kissed and the sun rose
And he walked a little further
And he found he was alone

And the wind it gathered round him
He was thinking of his sins
And he's looking for his song-bird
He was looking for his wings

And there was trouble
Taking place
Trouble
Taking place

There was trouble
Taking place
Trouble
Taking place

( PJ Harvey / Is this desire? 1998 )

L’aria si fa scura e i tempi portano crisi e opportunità, scandali e vite ribaltate per pochi attimi sbagliati. Non rimane che farsi picchiare dalla pioggia e stordirsi nella nebbia. E c’è pure chi fa finta di niente, forse perché la nebbia la respira da un po’. Sorridere fa bene sempre, a meno che tu non sia uno stolto e allora quello si chiama indifferenza oppure insensibilità o peggio ancora resa. Qui la nebbia non aiuta, non aiuta a sognare, non aiuta a vedere oltre e la pioggia picchia forte ma lei se ne va senza colpe. Non è imputabile di nessun reato. Cadi all’indietro e sembra non si tocchi mai il fondo, non si avverte l’esito della caduta e questo fa più male. La nebbia non aiuta, non aiuta se cerchi qualcuno a cui dire qualcosa, che forse pure c’è ma non si vede bene in questo cielo umido. Rimangono i giardini per cui qualcuno ha speso una vita per farli a immagine e somiglianza della felicità. Giardini da curare fino a che qualcuno non ti seppellisce in un giardino lontano dal tuo, putrido e malconcio, che sa di acqua affogafiori e di cera che fa mancare l’ossigeno. E il tuo giardino muore piano senza nessuno che abbia voglia di curarlo. Era meglio spendere il tempo a curare la propria vita, o anche l’anima se vuoi. Noi ce l’avevamo un giardino. Era stupendo perché noi lo abitavamo. Perché assomigliava alla libertà. Noi ce l’avevamo un giardino e non era fatto per farlo vedere al vicinato. Non era fatto per farsi mostra di se. Non era chiuso, ma di certo non tutti potevano avere l’accesso. Questo dipendeva dai visitatori. Noi ce l’avevamo un giardino con alberi di bosco e fiori selvatici. Ma poi ci siamo scordati di avercelo. Oppure lentamente qualcuno ci ha strappato via le radici e adesso ci chiedono chi siamo e da dove veniamo. Noi vorremo sapere semplicemente dove andare ma non abbiamo nessuno a cui chiederlo tranne che a noi stessi. Forse non è il momento per chiederselo. Forse non è il momento di ripensare al nostro giardino, che scendeva giù per la valle seguendo quello che per noi doveva essere un fiume e poi risaliva sopra. Il nostro labirinto. Ma non abbiamo mai avuto il coraggio di vedere dove andasse a finire. Ora non sappiamo più dove comincia e non sappiamo indicarlo, ci siamo persi da un po’ in questa nebbia, e ci ritroviamo con troppi stranieri con cui convivere. Gente senza giardino. E vaghiamo soli in un labirinto invisibile in mezzo ai nuovi palazzi, a tonnellate di cemento che s’alzano al cielo, passando per i vostri uffici nuovi nuovi e i vizi vecchi vecchi di chi è rimasto lo stolto di sempre. Dovremo chiederci dove andare ma il labirinto è magnetico. Non ci lascia uscire. O forse ci porta dove ci hanno strappato. Il labirinto è magnetico. Il labirinto sa. Il labirinto conosce la strada. Il labirinto è la strada. E non resta che seguirlo…

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